Chi ce poteva crede
de sta in mezz’a ’na corrente
e de nun trova’ più la riva
giusta!
Chi ce poteva crede
de pena’ tanto e nun capicce
niente,
come si ‘r cervello nun
m’abbasta!
Chi ce poteva crede
che me se ‘ncalliva l’anima e
la mente,
e perdeme pure la voja de fa
festa!
Chi ce poteva crede
che l’omo era tanto
delinquente
da pija’ la decenza e de chiamalla svista!
Me piacerebbe tanto de
capillo,
si m’affogo o si m’attacco a
‘n cavillo.10. marzo 2018
Non riesco a capire se la confusione che mi accompagna ormai da qualche anno sia un normale effetto dell'età che avanza e del naturale irrigidimento delle cellule cerebrali o se sia un sintomo della fine di un periodo della storia che sta cambiando i parametri di riferimento del pensiero e delle relazioni umane.
C'è un fatto che però è indiscutibile, contemporaneamente all'avvento di una società sempre più soggetta alla robotizzazione, si stanno smussando tutti gli angoli, stanno svanendo i confini, si nasconde il significato delle parole e si stanno consolidando le differenze, si stanno mettendo paletti tutto intorno alla casa, per difenderla dall'estraneo. L'ospitalità, quella che nei tempi antichi era sacra, e la voglia di conoscere e di comprendere l'altro sono diventati un sentimento che ormai somiglia più alla diffidenza e alla paura.
Siamo sempre più favorevoli a delegare il nostro futuro, lasciandolo indirizzare da un computer e abbiamo accettato il concetto che il tempo speso per studiare e per pensare sia da considerare tempo sprecato, visto che le nostre necessità e le nostre idee le leggiamo su internet, proprio nello stesso momento in cui ci si presenta il bisogno. E non ci stupisce nemmeno dover prendere atto che il nostro modo di vivere è in antitesi con quello che abbiamo sempre pensato, che fosse il nostro ideale di politica e di società, la nostra fede religiosa, il nostro rapporto con noi stessi e quello con il prossimo.
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