ARCHEO - I Precolombini

                                                                               
Prima dei Conquistadores 


Introduzione

Sui libri di scuola si parla poco della gente e dei popoli che hanno abitato le terre di quella che oggi chiamiamo "America" prima dell'arrivo delle tre caravelle e  quei popoli vinti, le loro religioni pagane e le loro culture forzatamente dimenticate  sono sempre stati raccontati come primitivi e adoratori di falsi Dei, crudeli e disumani.
Forse per giustificare il  sangue di secoli di massacri, la cultura - quella stessa che sterminò e umiliò quelle genti -  ha preferito raccontarsi come liberatrice e messaggera  di un vero Dio e di una vera civiltà, in contrapposizione all’ ignoranza e alla barbarie di popoli – poi legittimamente sottomessi - che vivevano rispettando  valori e modelli,  fino ad oggi,  ancora ignorati e  comunque non condivisi.
Era un  modello di vivere e di pensare troppo differente da quello dominante all'epoca della conquista,  dalla insolenza e dalla volgarità  di  rozzi marinai  ignoranti , guidati da avidi avventurieri alla ricerca di facili ricchezze.
Le lingue erano incomprensibili, i riti religiosi cruenti,  le reazioni alle leggi e alle usanze del  nuovo Imperatore e del nuovo Dio,  troppo violente.
Tutto,  dai colori e dalla forza di una natura vigorosa e prepotente,  alla falsità dei dignitari di corte si scontrava con l'incontrollabile smania di  impadronirsi di  ori, argenti e preziosi, senza curarsi del loro valore testimoniale, artistico o religioso : tutto doveva diventare bottino di guerra.
E’ evidente quindi che di loro restò molto poco e che l’immaginario che resta di quelle terre si deve circoscrivere solo a quanto non è stato possibile cancellare, distruggere o nascondere alla vista:  le Piramidi dello Yucatan o quelle  del Sole e della Luna a Teotihuacan,  o i templi di Cuczo ….  Architetture poderose che hanno resistito al tempo e che sono riuscite a tramandare la cultura dei popoli stessi che le hanno lasciate: Maya, Aztechi, Inca.

Nel corso delle generazioni molte tribù e molti popoli sono scomparsi senza lasciare traccia di loro, in tutto il mondo, ma nelle Americhe dei popoli nomadi e senza una cultura scritta, dimenticarsene è stato più semplice. In effetti il passato del continente americano non può aver lasciato tracce solo nei pochi siti archeologici intorno al Messico o in Perù, dove oggi andiamo in vacanza.
Intorno alle culture dei popoli più forti e più capaci di creare un'architettura capace di sopravvivere a loro stessi, è esistita una quantità di altre popolazioni “andines”, di gente che diede il nome alle stesse Ande: erano i contadini, i paisa che scavavano le terrazze sui lati delle montagne e si creavano un proprio orticello da coltivare.  Per questi paesaggi a terrazzamenti – a andines -  gli spagnoli chiamarono quei monti Ande.

Fantasia con Palmas de  Cera
Tribù che si sono evolute ed hanno prodotto tutte le loro espressioni intorno alle Ande o nelle Pampas  o nelle foreste più impenetrabili. Popoli che hanno trasmesso oralmente la propria lingua, le proprie conoscenze della natura, dello spirito e  del cosmo e  che hanno concluso la propria storia, a volte naturalmente, ma più spesso per eventi esterni che hanno cambiato l’ambiente in cui erano vissuti, da sempre.  
C’è qualcosa che accomuna però i popoli estinti e quelli che sono destinati a scomparire: la discriminazione e  la miseria. Ma anche  i tanti punti di incontro di una cultura simile ma sempre differente.
Qui vorrei parlare solo della ricchezza delle sensazioni che mi ha trasmesso il curiosare nel passato di un paese dove ho avuto la sorte di poter vivere per qualche anno.  Amando e allo  stesso tempo odiando tutti gli eccessi  della Colombia,  un paese difficile, tormentato, contraddittorio ma pieno dei colori, del fascino e delle passioni che si mischiano e si confondono in un animo -  quello colombiano – che riassume in sé momenti di orgoglio, di violenza, di arroganza, di rabbia, di umiltà,  di forza di amare, di voglia di ridere o di estraniarsi  e di rassegnarsi.
Il meglio e il peggio di un passato che vive ancora. 

In Colombia tutti gli oggetti creati dagli indigeni che abitavano il continente americano, prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo, vengono chiamati :


 " Precolombini."   


Si può trattare di oggetti di metallo, di pietra, oppure di conchiglia, di legno, di osso, di argilla, di piume, di paglia o stoffe tessute, ogni oggetto ha una propria storia, un significato, un valore documentale che racconta il contesto umano, famigliare e sociale di popoli scomparsi, sui quali anche delle cose semplici di uso giornaliero diventano veri e propri reperti archeologici capaci di aprire, dopo secoli, una finestra su un passato, in cui si era più vicini ai valori della Vita e dell'Uomo più di quanto lo sia la nostra epoca.

Oggi nei musei si tende a mostrare le opere a seconda del valore estetico, effetto dello stato di conservazione, dalla maestria  e della fantasia del suo autore. Però oltre agli oggetti, che sono delle vere opere d'arte che, per bellezza e raffinatezza, possono entrare di diritto nell'archeologia, ci piace anche cercare le cose piccole della vita quotidiana di quegli uomini che amavano mostrarsi per quello che erano realmente, nello sfarzo del loro rango, o nella debolezza della malattia, o duranre l'officio dei loro riti o con l'espressione della fatica di un lungo giorno di lavoro. 

Ci appaiono come sono sempre stati tutti gli uomini della terra, e raccontano i momenti sociali e religiosi, il gusto per le acconciature appariscenti e sofisticate e il piacere di impreziosire i loro corpi indossando gioielli. Sapori che superficialmente possono sembrare tanto lontano da noi, per il modo ampolloso di esprimere il pensiero o il diverso valore  che questa gente vissuta - in verità - solo pochi secoli fa, dava alla vita, al tempo, alla società e alla rapporto con il mondo dell'aldilà. 

I ritrovamenti di oggetti "precolombini" possono permetterci di comprendere come era la vita nel passato, come se fossero tasselli di un puzzle che servono per ricostruire una storia nascosta - volutamente dimenticata (?) - della quale esistono solo echi delle parole dei vecchi. Una storia spesso fatta di fughe e sottomissioni improvvise alla forza di tribù nemiche, dopo una battaglia persa. Parole e vita quotidiana completamente sconosciuta.  

Questi reperti “minori” spesso restano  dimenticati sotto il pavimento di vecchie case coloniche o nelle cantine dei musei che li mostrano al pubblico solo in occasioni particolari, in eventi che per ricordare come si viveva espongono utensili di uso quotidiano ormai dimenticati per metterli a confronto con gli strumenti meccanici  o con quelli tecnologici.  

In Colombia la ricerca archeologica è iniziata relativamente tardi e, potremmo dire, molte scoperte sono avvenute più per caso che in conseguenza di studi approfonditi su una zona o su una determinata cultura. Si è scavato molto e molto di quello che si è trovato è stato nascosto o venduto, senza troppa attenzione a catalogarne la provenienza o i dettagli dello scavo e degli altri oggetti rinvenuti nello stesso posto, per riconoscere e stabilire la loro autenticità.  

Quindi, bisogna avere una solida esperienza, che non si può improvvisare - come consigliano ancora oggi alcuni huaqueros (es.: se bagni con la saliva una parte dell'oggetto e se l'argilla si assorbe subito, vuol dire che il pezzo è originale e antico!) - e per riconoscere se un pezzo è veramente antico si deve risalire al tipo di materiale, alla tecnica di lavorazione, allo stile per attribuirlo ad una o all'altra cultura. 

    L'uso di esporre oggetti archeologici come decorazione in casa è una moda recente, tipica di certi paesi sud-americani, che permette ai fortunati possessori, di sentirsi spettatori attivi di un pezzo di vita di un passato pre-ispanico che, per mezzo di una ceramica o di un tumbaco, ci si ripresenta come protagonista anche oggi, sempre intrigante e fascinoso. Così un semplice oggetto di uso comune o religioso assume un valore completamente nuovo per la sua raffinatezza, per la sua estetica che piace ancora oggi e lo mostra come una decorazione di pregio o come investimento fatto, forse inconsciamente, per preservare un pezzetto del patrimonio della cultura e dell'archeologa di un passato che, in teoria, dovrebbe appartenere a tutta l'umanità.

In Colombia negli anni 90 del secolo scorso era lecito commercializzare oggetti di origine archeologica (forse oggi le cose sono cambiate) ma esistevano solo poche Gallerie di Arte-Precolombina specializzate e con un vero interesse per diffondere la cultura della conservazione e dell'arte per le future generazioni. Normalmente  a questi oggetti viene attribuito un mero valore commerciale, senza nessun interesse per il valore storico che avrebbero dovuto rappresentare. 

Le aree Precolombiane di Colombia
Così alle poche Gallerie d'Arte si affiancano molto spesso i più modesti, genuini e devastatori  "huaqueros", gente che viene dalle campagne e che cerca di vendere dei coccetti di terracotta o dei pezzetti di tumbaco, ritrovati nei campi o comprati da altri contadini che, non conoscendo il valore della loro scoperta, vogliono liberarsene prima che intervenga qualche autorità che controlli se il terreno del ritrovamento ha valore archeologico ma anche per mettersi in tasca subito pochi spiccioli, guadagnati facilmente, vedendo una cosa trovata per fortuna e senza fatica, e di cui, comunque, a loro non servirebbe a niente.  

I "huaqueros" - i nostri "tombaroli" - sono personaggi che arrivano, nei terminal degli autobus, dalle campagne, sempre carichi di enormi buste di plastica piene di cocci, di vasetti e di statuine, incartate una ad una accuratamente e più volte con vecchi fogli di giornale e tutte, sempre rigorosamente sporche di fango, per far credere meglio che quello che portano è roba veramente antica e trovata da pochi giorni, da loro stessi. Come dicevamo prima, non è facile riconoscere l'antico dal moderno, ma la parte più bella è il piacere che suscitano le forme, i disegni, i colori e la fantasia che emana la bellezza delle cose fuori dal nostro tempo. Molto spesso certe forme e certe decorazioni dell'arte del Sudamerica ci ricordano altre forme già viste nei musei micenei, negli scavi etruschi e, in qualche caso, la volatilità di certi disegni ricorda anche degli elementi dell'arte dell'estremo oriente. Chissà.  
Incensiere in terracotta a disegni geometrici,
zona di origine e stile da attribuire


Parecchi "huaqueros" - che durante la settimana entrano negli uffici del governo, delle multinazionali, delle ambasciate per andare a trovare i loro clienti abituali, per portare sempre qualche oggetto nuovo, magari per recuperare un altro vaso o una naringuera di tumbago, venduta qualche settimana prima, e scambiarla con un oggetto più importante, per portare a casa anche solo pochi pesos - la domenica mattina spesso li incontriamo nei mercatini delle pulci, tra i venditori di oggetti dell'artigianato locale.  

Anche nei mercatini arrivano con i loro bustoni di plastica e tutta la loro mercanzia viene messa per terra in bella mostra, le cose più preziose però, le lasciano incartate nel solito giornale e nascoste per essere mostrate solo a qualche cliente più facoltoso o che sembra più esperto. E' allora che i huaqueros danno prova della loro professionalità - ma più spesso della loro capacità di affabulazione - e raccontano storie e decantano le caratteristiche dell'oggetto e della cultura da cui proviene. Poi spiegano, a bassa voce,  come siano riusciti a procurarsi quell'oggetto tanto prezioso, che solo un intenditore, come è appunto la persona che hanno davanti, può apprezzare.  In genere sfoggiano una competenza che non hanno, ma il fascino che emanano gli oggetti che maneggiano con tanta cura, fa sembrare credibili anche le loro belle storie che spesso sono una sintesi di tutto il loro sapere.
Vaso cinerario  (Nariñocon decorazioni 
geometriche, braccia, ance laterali 
e tratti del volto stilizzati.

La contrattazione e il piacere della vendita sta tutta nel dubbio se si tratti veramente di un oggetto antico, nel modo in cui si tenta di convincere e nel credere alla dotta spiegazione sui colori della ceramica e sul disegno di un vaso di terracotta o di una statuetta di pietra o di un gioielletto di filigrana, sull'importanza dell'arte e della cultura del periodo storico a cui si fa risalire il prezioso oggetto del contendere. E' il gioco antico del commercio, quello che a volte si scalda tanto da far ricordare gli antichi suk del medio oriente. Ma i veri indigeni ormai sono pochi in Colombia e normalmente restano ben lontani dalle grandi città e dai loro mercatini, tutti gli altri sono discendenti dei primi dominatori e dei loro servi spagnoli che si sono confusi per quattro secoli con le popolazioni locali.  Non sarebbe strano che anche un pò di sangue arabo scorresse nelle vene di uno di questi huaqueros, tanto abili nel contrattare. 

Umili personaggi affascinanti, intriganti e cialtroni, persone che fino a poco tempo fa vivevano senza lasciarsi coinvolgere dalla frenesia della vita occidentale, povera gente che si sentiva ricca per aver trovato sottoterra un tesoretto, sotto forma di pochi coccetti e di qualche tumbago sbrillucicante se lucidato con un pizzo di camicia, e che stranamente qualcuno apprezzava tanto da pagarli un piccolo prezzo che, per gente che è sempre vissuta di niente, era una vera fortuna. 


Spesso, per aiutare la fortuna, tra i coccetti scavati sottoterra e qualche terracotta comprata a buon prezzo, perché rotta in tanti pezzi, mettevano qualche bella ceramica artigianale, moderna e comprata all'ingrosso, un pò scheggiata e a volte incollata malamente - per farla sembrare restaurata da chi non poteva comprendere il valore del reperto che aveva in mano - e sempre rigorosamente ancora sporca di quella autentica terra antica, dove era rimasta ad "invecchiare" per qualche giorno.

Le culture precolombiane
L'Arte Precolombina dei nativi della attuale Colombia è poco conociuta all'estero per una scarsa opera di divulgazione, infatti eccetto le poche esposizioni di oreficeria che il Museo del Oro di Bogotà porta regolarmente nei migliori musei del mondo, non esiste una bibliografia sufficiente che spieghi dettagliatamente le differenze tra le varie culture ( molto simili in tante occasioni) e le fotografie che si vedono in giro sono sempre le stesse, e riproducono solo una piccola parte dei reperti disponibili.

Quando arrivarono gli spagnoli, nel territorio che
oggi chiamiamo Colombia, vivevano moltissimi gruppi indigeni, ma molti altri popoli erano già scomparsi secoli prima della conquista. Per questo oggi in Colombia sono state classificate delle differenti  zone archeologiche  e ognuna presenta una propria fisionomia. 

La cartina geografica qui accanto indica le principali Zone Archeologiche dove si svilupparono le Culture precolombiane di cui daremo qualche cenno, solo a scopo divulgativo, senza  pretese scientifiche e senza riferimenti alle affinità linguistiche che collegavano molti popoli tra loro. 

Di lingue e dialetti parliamo in Il Paisa del Caquetà .... Lingue e Numeri

Prima di chiudere questa introduzione non posso evitare di ricordare che in occasione della Esposizione Storica Americana che si tenne a Madrid nel 1892, nel quarto centenario della scoperta dell'America, il governo di Colombia offri generosamente in prestito le sue collezioni ispaniche di ceramica e d'oro e ossequiò la nazione spagnola con 62 pezzi di oreficeria che, a partire da quel momento, divennero il "tesoro dei Quimbaya" che può tuttora essere visitato al Museo de America di Madrid. 
Nel testo che segue mostreremo delle immagini di ceramica e oreficeria precolombiana con il solo scopo di  far conoscere delle cose belle, esteticamente belle, e purtroppo poco conosciute da questa parte dell'oceano. Spero di non annoiare con il mio tentativo di inquadrare questi oggetti nel loro contesto umano, storico e artistico, per poter apprezzare meglio qualcosa in più sugli uomini e sulle civiltà che li hanno creati. 
Perciò, queste pagine devono essere intese solo come una semplice lettura divulgativa - ma attendibile - sintesi di pochi appunti presi da un "amatore", con tutti i limiti che può avere una interpretazione personale, suscettibile di omissioni, imprecisioni e, in qualche caso, di una consultazione approssimativa di fonti di ricerca contrastanti. 

 (Click per visitare il Museo del Oro di Bogotà)  


                                                   Video turistico della Colombia          
   
Parleremo solo di alcune Culture, tralasciando volutamente "Tierradentro" e "San Agustin", zone archeologiche monumentali, delle quali non posso mostrare nessun oggetto, ma che per la loro imponenza meriterebbero un capitolo a parte. La cartina geografica che appare in alto non è aggiornata, infatti manca la cultura Malagana, scoperta solo nel 1992.


  1.    Tairona
  2.    Sinù
  3.    Muisca
  4.    Calima
  5.    Malagana
  6.    Quimbaya
  7.    Tolima
  8.    Nariño
  9.    Tumaco-Tolita 
  10.    Oltre confine : Esmeralda


Per  dettagli sulle Mappe  geografiche vedi  sito Lucky- jor


1. La Cultura Tairona

(200 a.C - 1500 d.C)     

Vaso Tairona in ceramica nera antropo-zoomorfa  
con muso di Giaguaro, simbolo del doble-Yo sul
petto e decorazioni a forma di serpente.
Nel territorio che va dalla costa caribica colombiana fino alla Sierra Nevada di Santa Marta per oltre 1800 anni si è sviluppata una cultura che ricordiamo non solo per le maestose fondamenta in pietra e per le strade lastricate che portarono alla scoperta delle "ciudades perdidas" nelle foreste - come le chiamiamo oggi - ma anche per i magnifici oggetti lavorati in oro fuso e in filigrana che rappresentavano simboli degli Dei e  dei Miti Tairona dalle forme zoomorfe stilizzate in modo da ricordare la donna, il giaguaro, il serpente o l'iguana, oppure ciondoli e collane preziose dagli attualissimi disegni geometrici. Ma altrettanto apprezzata e riconosciuta era l'abilità  di  queste popolazioni  - i Tairona - nel lavorare la terracotta creando oggetti come le ocarine, i "silbatos", dalle tipiche e originali forme zoomorfe e la loro enorme e originale produzione di vasi e contenitori di Ceramica Nera, con decorazioni zoo- antropomorfe o di Ceramica Rossa o color Crema che troviamo nelle coppe o nelle giare ansate, che spesso poggiano su tre piedi. 


Le origini



Benché il sito archeologico più antico della Colombia si trovi a 2750 metri sul livello del mare a El Abra, tra le cavità e le rocce sporgenti di un antico canyon aperto nella Savana di Bogotà, che diecimila anni prima di Cristo era una regione temperata, nebbiosa e piena di boschi, i primi uomini che popolarono l’América del Sud dovettero - per effetto della configurazione geografica del continente - passare dalle coste di quello che oggi è suolo colombiano. I dati archeologici su questa tappa della storia delle migrazioni sono molto approssimativi, per questo motivo risulta difficile avere una visione storico-cronologoca dei gruppi umani più antichi. Quindi indipendentemente dai calcoli e dalle prove sulle date di arrivo dei vari popoli, noi decidiamo di cominciare la nostra carrellata sulle antiche civiltà colombiane dalla costa dei Caraibi.

Fu qui infatti che l’uomo dovette fermarsi per adattarsi all'habitat di un altro continente, ai nuovi utensili e alle nuove armi che dovette proocurarsi e che dovette usare forse 5.000 anni prima di Cristo, quando gli abitanti della costa caraibica e delle zone basse tropicali cambiarono il loro modo di vivere e cominciarono una forma di vita sedentaria. 
A San Jacinto (4000-3330 a C.), a Monsú (3500 a.C.) e a Puerto Hormiga (3100 a.C.) - località che si trovano lungo la parte bassa del Rio Magdalena, poco prima che si butti nel Golfo - sono stati rinvenuti i reperti di Ceramica più antichi del continente, scoperta questa che testimonia l'esistenza della ceramica e il modello di vita dei primi “CONCHEROS” - i raccoglitori di conchiglie – che continuò per i successivi 2.000 anni della preistoria colombiana.




Al  secondo millennio a. C. risolgono  i giacimenti di MALAMBO  dove fu ritrovato un antico “ piatto circolare di ceramica” o “ budare”  a dimostrazione della evoluzione raggiunta con la cottura del casabe, una pizza fatta con una Yucca tossica, che diventava commestibile solo dopo essere stata disidratata. Nello stesso periodo fu raggiunta una maggior varietà di forme della ceramica e degli strumenti di lavoro seguivano la graduale trasformazione del modo di vivere di queste popolazioni, cominciando dalla raccolta dei molluschi fino ad una maggior dipendenza da alimenti vegetali. 



Con l'aumento della produttività le attività lavorative si diversificarono e nello stesso periodo fu introdotta la coltivazione del mais, che presto sostituirà quella della Yucca.  Ma questo nuovo prodotto richiedeva molto più lavoro nei campi, per la preparazione della terra, per la semina e per la raccolta si rese così necessario lavorare insieme ed una attività di aggregazione portò all'aumento della popolazione e ad una spinta verso la ricerca di nuovi territori, per cui gradualmente si cominciò ad abbandonare la zoan dei fiumi Rancherìa e Cesar sulle coste sud-orientali della Sierra Nevada e di Santa Marta, per emigrare verso le zone alte delle cordigliere. Quelli che rimasero erano i Tairona che svilupparono una stessa cultura per oltre mille anni  e che sopravvisse fino all’arrivo degli spagnoli .




Il Período Nahuange     



La costa caribica orientale colombiana
I primi ritrovamenti di tumuli e abitazioni nei siti di Nehuange,Pueblito, Bonda e Mamatoco (vedi anche questo link) risalgono al 500 - 700 a.C. indicano la presenza di comunità di artigiani, pescatori e orefici, che abitarono le coste nord-occidentali della Sierra Nevada di Santa Marta, favorite dall'abbondanza delle risorse del mare, della spiaggia, dei “cienaga” (i pozzi naturali), dei fiumi e dei monti, oltre che della terra per la coltivazione di mais ecc.


Una ranita di tumbaga, usata come ciondolo e una rara rana gialla che vive nella selva  
Dal 200 d.C.queste popolazioni cominciarono a distinguersi come esperti orefici ed abili artigiani nel taglio delle conchiglie e delle pietre semi-preziose con cui crearono ciondoli e pettorali di madreperla, pietre e metallo dalle forme realistiche di donne, uccelli, felini, rane e lucertole spesso schematizzate su lamine d’oro.  



Al primo periodo Nahuange risalgono i primi metalli martellati,  fatti con una lega di oro e rame, la TUMBAGA,   

avevano superfici molto pulite e brillanti con tonalità che davano sul rossiccio. Avevano forme triangolari e circolari e  proponevano figure zoomorfe dalle linee essenziali, dove spiccavano immagini di serpenti a due teste posti come decorazioni per narigueras e pettorali. Nel 1992 fu scoperta nella baia di Nahuange una tomba con lastre di pietra, che rispondeva in pieno allo stile di vita della gente di questo periodo, tanto da essere ricostruita, compresi gli oggetti di uso comune, simili a quelli ritrovati, nel Museo del Oro di Bogotà. Questo periodo terminò verso il 900 d.C. quando la cultura non terminò ma entrò in un nuovo Periodo, quello TAIRONA. 



Dignitario con un simbolo del potere,
 diadema in piume, collana e cavigliere (tumbaga)



Narigueras, orecchini e spilla a forma di tartaruga (tumbaga)




"Se ci fosse un Paradiso in terra, non potrebbe essere che questo ....."



Scrivevano i primi spagnoli che conobero queste popolazioni:




«Y porque si hay algún paraíso terreno en estas tierras de indios, parece ser éste… que le pusieron ahora estos dos nombres los nuestros, Caldera y Valle de San Marcos. Está todo coronado de altas cumbres desde donde hasta lo hondo habrá ocho leguas, por partes menos, todas sus cuchillas quebradas de dulcísimas aguas de oro (que como culebras de cristal se deslizan de sus cumbres hasta lo profundo del valle), espaldas y amagamientos poblados de crecidos pueblos de indios que se veían todos de todas partes de sus laderas con agradable vista, los más de mil casas grandes que habría, que en cada una vivía una parentela. Pero lo que más deleitaba la vista, era sus muchas plantas de raíces y maíces, batatas, yucas, ñames, auyamas, ajíes, algodonales y las arboledas casi todas frutales, ciertos manzanos, guamos, guáimaros, mamones, guayabos, ciruelos, curos, piñones, plátanos y otros muchos fructíferos, y de madera para sus casas y quemar en los bohíos del diablo, donde […] ardía fuego toda la vida, de leña olorosa, que tenían estos caneyes y otros en que guardaban sus joyas, plumas y mantas y donde hacían sus fiestas y bailes de extraña grandeza […], limpieza y curiosidad, como la tenían en los patios enlosados de grandísimas y pulidas piedras, con sus asientos de lo mismo, como también los caminos de lajas de a tercia.
En cierto pueblo había una escalera bien labrada de seis a siete escalones de vara de alto, y otra angosta por medio para subir a ésta, donde se ponían a ver las fiestas que se hacían abajo en un extendido y bien losado patio. Hablo a las veces de pretérito y otras de presente, porque estas cosas algunas permanecen, y de otras no hay rastro»

«Levántase sobre todo encarecimiento la gala, limpieza y curiosidad de estos naturales, las mantas pintadas de colores varios en el telar. No había indio ni mujer que no tuviese terno de joyas, orejeras, gargantillas, coronas, bezotes, moquillos de oro fino, pedrerías finas y bien labradas, sartas de cuentas.
Las muchachas todas traían al cuello cuatro o seis moquillos de oro, de peso de a doce a quince castellanos. Su vestido ordinario son dos mantas de algodón pintadas; cuando caminan, llevan abanicos de pluma y palma. En las quebradas tenían hechos a mano albercones para bañarse»
«Eran tantas y tan curiosas las cosas de plumería, que no se pueden decir: capas como mucetas, rosas, flores, clavelinas, abanicos, aventadores, vestidos, justillos cubiertos de pluma, mohanes grandes cubiertos de lo mismo y otros de pedrería, bonetes forrados de cocuyos, vestidos de pellejo de tigre. Criaban papagayos, guacamayos y tominejos, para sólo la pluma, que les pelaban cada año. Otros matan con cerbatanas y sutiles flechas para lo mismo…»                       «…Ellas hilaban aprisa y muy delgado, y ellos tejían despacio y muy curioso. Decía un soldado que había visto un colmenar en aquel valle de más de ochenta mil colmenas, y era que las casas eran diez mil, y en cada una había de diez para arriba.
Eran unas ollas grandes o múcuras donde hacían su miel muy dulce, por ser de flor de guamos, unas abejas pequeñuelas, no en panales, sino en bolsas grandes de cera y olía a la flor. Los pueblos serían como doscientos y cincuenta y los más obedecían a un cacique llamado Guacanaoma, aunque no había ninguno que no tuviese cacique o mohán. Y al fin, en toda la Caldera todo era fiestas, bailes, limpieza, delicia y ociosidad…».                                                                 
 [Simón, Fray Pedro. /1626/ 1981. Noticias Historiales de las Conquistas de Tierra Firme en las Indias Occidentales.      Tomo VI. Capítulo XIII:285–86. Bogotá: Biblioteca Banco Popular]






Chi erano i Tairona ?        



I Tairona vivevano tra i boschi delle valli della zona nord-occidentale della Sierra Nevada, dove costruivano le loro città su basamenti di pietra, collegandole con strade lastricate e rendendo fertili le loro terre con opere di drenaggio e di irrigazione. Vivevano in piccoli gruppi riuniti in villaggi di poche migliaia di persone dove quasi tutti si occupavano di una stessa attività, dello stesso tipo di lavoro.


La costa caribica e il Parco Tairona
Coltivavano mais, yucca e avocado, malgrado le asperità dei terreni,  grazie all'abilità dei loro architetti che avevano costruito delle terrazze di pietra, degradanti verso il monte, per evitare che i campi franassero a valle, ma i Tairona sono ricordati essenzialmente per la raffinatezza del lavoro dei loro orefici che seppero creare gioielli, ornamenti e oggetti preziosi che venivano usati dai cacique e da capi politici e religiosi durante i riti ufficiali. Ma furono capaci di creare anche gioielli meno sofisticati e di uso quotidiano per essere indossati da uomini e donne del popolo, solo per la loro bellezza estetica e per il loro significato religioso. 

Crearono monili e pettorali a forma di uccelli con le ali aperte, dimostrando con questi disegni una sorta di continuità di immagini e di pensiero con la simbologia del precedente periodo Nahuange. Tutto finì dopo l'arrivo degli spagnoli ai quali resistettero, per oltre 75 anni. Molti si estinsero, molti si confusero con gli spagnoli, qualcuno sopravvisse in piccoli gruppi indigeni.

Ma tra i conquistadores, benché in maggioranza ignorantemente arroganti, ci fu chi osservò e tramandò  ai posteri qualche impressione sulla cultura e sui riti praticati da questo popolo di infedeli e adoratori di falsi dei che vestivano e vivevano con usi sconosciuti anche ai pochi cronisti spagnoli dell'epoca che scrissero di loro:


“Traen sus personas muy adornadas con piezas y joyas de oro. Los varones traen orejeras y caricuríes puestos en las narices y grandes chagualas en los pechos. Al cuello muchos géneros de cuentas… Las mujeres casi traen las propias joyas que los varones”. 
"Alcazarra Tairona negra" trasformata in caimano,
 detta  Galeone per la sua forma oblunga

“... tenían joyas de oro, penachos de pluma y mantas con muchas pinturas entretejidas, y en ellas muchas piedras cornalinas, esmeraldas y casidonias y jaspes y otras”. 
                                        (Gonzalo Fernández de Oviedo – 1514)


“Indossavano  collane e gioielli d’oro. Gli uomini portavano gli orecchini e tra le narici dei cilindretti a forma di chiodi ricurvi, sul capo pennacchi di piume e mantelli con disegni intessuti con cornaline, smeraldi, calcedonie e jaspe, sul petto portavano grosse collane su cui erano rappresentate scene mitiche …  Anche le donne portavano gioelli quasi quanti ne indossavano gli uomini .....    


(Il valore della bellezza dei gioielli e dell'abilità degli orafi non servì a vincere la cupidigia e l'ignoranza dei conquistadores che razziavano tutto ciò che sembrava oro per fonderlo, ammassarlo e spedire i lingotti ricavati sui galeoni che tornavano in Spagna).




A capo della comunità Tairona era una poderosa elite di sciamani, che credevano e dicevano di sapere come controllare le forze della natura e quelle del cosmo, e proprio grazie a queste capacità, erano preposti a vegliare sul futuro degli uomini e sul benessere materiale e spirituale di tutta la comunità. Questo loro potere è provato da molti ritrovamenti con immagini di sciamani ritratti in stato di trance, o mentre si trasformano in una emblematica figura di uomo-pipistrello, signore della notte e dell'Inframondo-Il Mondo di Mezzo (vedi -Racconti Precolombini / 5). 


Questa figura dell’uomo che si trasforma in pipistrello è molto importante nella cultura e nella religione Tairona, tanto che viene scolpita e dipinta su pettorali, pendenti, campane metalliche e manici di bastone in osso. Certe decorazioni tentava no di rendere vivo questo momento del passaggio- della trasformazione - in particolare ne trova un esempio con certi tipi di “narinjeras” cilindriche che tenevano sollevate le narici, in modo che il volto dell'uomo potesse assumere delle sembianze che, in qualche modo, lo facessero somigliare ad un pipistrello, allentando le parti cartilaginose, come pure facevano altre decorazioni  che, inserite nella parte sub-labiale, facevano aumentare la carnosità del labbro inferiore.   


Durante i riti religiosi tutto il popolo riviveva i miti tramandati a voce di generazione in generazione e raccontati come storia delle tradizioni e della società, in un ambiente surreale dove tutti bevevano chibcha e masticavano foglie di coca o funghi allucinogeni per sentirsi forti e potenti come i personaggi mitici che potevano tenere in equilibrio l'intero universo. Pietre intagliate e altri oggetti preziosi venivano lasciati nei tempi come offerte, oltre a profumi e cose da mangiare. Era il loro modo di chiedere la protezione degli Dei sulle case, sulle strade, sui raccolti, sulle acque delle lagune, per chiedere la fertilità per gli uomini e per la terra e per la cura delle malattie.


Nell'ultimo periodo i gruppi Tairona della Sierra Nevada, parlavano la lingua Chibcha e avevano ideali  e credenze comuni con altre comunità dello stesso gruppo linguistico, quindi anche con gli abitanti della Cordigliera Orientale (i MUISCA) con i quali condividevano oltre a simboli, come quello dell’Uccello dalle ali spiegate, anche il rituale  delle offerte per gli Dei, lanciate nelle acque dei laghi o presso le sorgenti, dove si credeva che fossero le porte dell'Inframondo.







Las ciudades perdidas


Gioiello tra i siti archeologi Tairona è la  Ciudad Perdida  , scoperta da alcuni tombaroli nel 1975 ed oggi sotto la tutela dell’Istituto  Colombiano di Antropologia e Storia. 
Questa città era un centro importante forse abitata da 1500 a 2400 persone 
Una scala in pietra
di un Ciudad Perdida
che vivevano in case a forma circolare costruite  su circa 13 ettari su terrazze fatte di lastre di pietra.  Ma questo non è l’unico esempio di cui si era persa traccia, esistono siti simili, anche di maggiori dimensioni a  Pueblito, nei pressi della costa  ( dove ??)  dove si ritiene  (Reichel-Dolmatoffesistano altri duecento resti di insediamenti a terrazza abitati da 3000 o più persone  ( Sierra Nevada de Santa Marta, come  Posiguieca  e Ciudad Antigua  e Chengue nel Parque Tairona ).



Piccole città e villaggi erano tutti parte di un robusta rete di scambio commerciale formato da comunità specializzate in un proprio lavoro (pesca, miniere di sale, coltivazione di mais, lavorazione della ceramica, dell’oro, ecc.), collegate da una rete stradale formata da sentieri pavimentati con lastroni di pietra, giusto orgoglio della Civiltà Tairona che può essere ricordata per la costruzione di terrazze in pietra sulle coste delle montagne, per le fondamenta delle case, per le strade a scalinata nelle montagne, per i canali di irrigazione, per le tombe e per i ponti.




Religione




Durante i 1800 anni della cultura e della tradizione Tairona si era raggiunto un sistema sociale basato su leggi, su un sistema religioso, credenze,  relazioni sociali ed usi completamente opposti a quelli che vennero portati dai conquistadores, che  predicavano solo la fede cristiana che avevano come compito di portare nel  nuovo mondo la vera fede e di combattere i pagani.


Pettorale  Tairona dalla forma di Uccello
con le ali aperte e la coda dispiegata
Nella società Tairona esisteva il divorzio ed era accettata la pratica dell’omosessualità  e in alcuni casi i sacrifici religiosi. È possibile comunque che i riferimenti all’omosessualità inteso dai conquistatori probabilmente siano stati una interpretazione sbagliata delle pratiche religiose a cui avevano assistito i primi preti cattolici. La religione Tairona ed alcuni sviluppi presenti nella moderna religione dei Kogui , prevede una completa separazione tra i sessi nella vita domestica. La descrizione della omosessualità dei Tairona raccontato  dai conquistatori sono probabilmente un tentativo del nuovo ordine cattolico di abolire la Casa degli Incontri tra gli Uomini, luogo di intensa e permanente attività religiosa.  Questa attività era probabilmente simile a quella dei loro discendenti i moderni Kogui: Molti tra gli uomini adulti sono coinvolti in rituali che a volte durano parecchi giorni e consistono per lo più di meditazione, masticazione della coca e decisioni sociali.


Dopo il declino fisico e culturale dei Tairona, non avvenne una immediata colonizzazione dell Sierra Nevada. Pertanto le terre medie e alte della sierra divennero luogo di rifugio per i sopravvissuti ai massacri della fine del XVI secolo. Negli anni seguenti la giungla invase zone che precedentemente erano state densamente popolate e creò una barriera naturale che favorì la sopravvivenza fisica e culturale di alcuni gruppi indigeni. Oggi possiamo considerare discendenti dei Tairona i     Kogui, gli Ijka ed i Sanká      ( oppure : Kogui, Wiwa, Arhuacos (Ijka, Ifca) e   Cancuamo   verificare
 
  

     

  2. La Cultura Sinú     ( 200 a.C - 1300 d.C)      

                                                                      

Gioco di colori e oggetti Sinu


Stanziato a occidente rispetto ai Tairona, questo popolo eccelse per una abbondante produzione di  oreficeria caratterizzata da lavori finissimi in filigrana o fusa con il sistema della "cera perdida". Il governo era una forma di matriarcato, documentato anche nella loro arte, con raffigurazioni di nudi femminili che rappresentavano la Dea Madre nella sua opulenza, vestita in modo ricco, sontuoso, e con pitture geometriche colorate e, spesso, con deformazioni intenzionali decorative sulle braccia e sulle gambe. Anche la produzione di ceramica fu notevole per l'eccellente varietà di forme e decorazione pittorica di vasi e oggetti di uso comune e rituale, come coppe votive e oggetti di culto, che dimostrano l'abilità di una manifattura molto sofisticata. La cultura Sinu, divisibile in almeno tre fasi distinte: Malambo, Momil y Betancí ) . 

2000 anni fa vivevano nel retroterra di quello che oggi è il principale centro turistico colombiano : Cartagena. Dalle bianche spiagge della costa caraibica, nei departamenti di Bolívar, Sucre, Córdoba per arrivare fino alla zona di Antioquia, come dimostrano le tracce di imponenti opere idrauliche realizzate tra il 200 a.C. e il 1300 d.C.
Fondata dagli spagnoli nel 1533, è una città coloniale, dove si respira il sapore e il colore di tempi passati e il salsa e vallenato accompagnano chi passeggia sotto il sole abbagliante tra le mura della città antica costruite a difesa della costa dagli assalti dei pirati inglesi e francesi. Tra i palazzetti antichi della città vecchia, oltre alla visita della famigerata Casa dell'Inquisizione e della Cattedrale con la torre dell'orologio, si può visitare anche un Museo del oro Sinu.
Ben poca cosa per celebrare quello che è stata per oltre mille anni la cultura di un popolo del quale restano solo poche comunità discendenti, che vivono per lo più nelle zone di San Andrés de Sotavento, conosciuta principalmente per la produzione dei caratteristici e preziosi sombreri sinuani, fatti con la fibra di caña de fleche, foglie di canna lavorate e intrecciate. 

Degli antichi tessuti preColombini prodotti dalla cultura Sinù, non è rimasta nessuna testimonianza. Ed è un vero peccato perché sia i tessuti che i tanti tipi di canestri di vimini non solo avevano un uso nella vita quotidiana ma con i loro disegni veniva ricreata la rappresentazione dell'universo, della "Cosmovision Sinù", con l'espressione visiva della conoscenza dell'uomo che per mezzo della natura -le fibre della caña - creava una immagine concreta che si poteva ammirare nel disegno del prodotto stesso.
Per questo il disegno che troviamo nell'oreficeria, nelle ceramiche e che avremmo trovato anche nei tessuti antichi rappresenta l’essenza della cultura del popolo Sinú.
Tra le valli dei fiumi Sinú, San Jorge, Cauca, Nechì, fino alla costa dei Caraibi, sul golfo di Morrosquillo vivevano dunque le antiche tribù di agricoltori e artigiani Sinù, accomunati da una stessa lingua e dallo stesso modo di esprimere le loro capacità artistiche.
Era gente che viveva di caccia e pesca dedita, oltre che all'agricoltura e all'artigianato, anche alla lavorazione della ceramica e dell’oro. Ognuno aveva un proprio ruolo stabilito in base ad una distinzione per sesso e età e - come un po' ovunque – gli uomini cacciavano e lavoravano i campi, mentre le donne in casa si dedicavano al piccolo artigianato ed alla raccolta.
Il sistema politico Sinù era basato su un sistema che oggi definiremmo "federale" mentre il potere militare e religioso era esercitato da una sola persona:  ll CACICCO che governava sulla comunità di una zona o di una valle.  Quindi  governanti di valli diverse si muovevano con una certa interdipendenza tra le varie comunità, ma nessuno di loro era autosufficiente né per il fabbisogno alimentare, né in agricoltura e proprio questo limite serviva a garantire stabilità, armonia e interdipendenza tra le varie tribù.
                                                                                     
Pendente con figura mitica e sacra: La falsa filigrana
Da aprile a novembre  nelle regioni che oggi si chiamano Córdoba e Sucre, dove vivevano i Sinù,  è il periodo delle piogge e spesso i terreni vengono inondati dalle acque delle montagne. Per contrastare questi fenomeni già più di 1000 anni fa furono costruiti dei  canali artificiali, di cui oggi restano tracce, per realizzare una rete di collegamento con i canali naturali, in modo da controllare la portata delle inondazioni e difendere gli apprezzamenti agricoli e abitativi dalle acque.  

Questo sistema di gestione delle acque funzionò e venne utilizzato per un período che durò 1.300 anni, anche se,  all'arrivo degli spagnoli, era ormai in disuso già da qualche secolo, infatti a partire dal 1100 dopo Cristo la popolazione Sinù cominciò a diminuire, come avviene del resto per molte altre culture per le colombiane centro americane.
L’antico  mondo dei Sinú comprendeva tre regioni:  Finzenú, che arrivava fino alla parte alta del Rio Sinú; Panzenú, che si estendeva fino all'attuale Cauca; Zenúfana, che si prolungava verso il centro dell'attuale Antioquia.
                           
Nella religione Sinú si credeva che il mondo avesse la forma di una grande canasta, nella quale vivevano uomini e animali e questa idea veniva rappresentata con un simbolismo che troviamo su tessuti ,  ceramiche e gioielli. E’  per questi temi, questi caratteri espressivi  - comuni a tutte le tribù delle valli-  che viene identificata come Sinú la tradizione e la cultura di tutta questa area.

LA FALSA FILIGRANA       
Caratteristica della oreficeria Sinù era la raffinata esecuzione del lavoro della
La falsa filigrana
filigrana fusa, un metodo che consisteva nello scolpire uno stampo che poi veniva riempito di cera. La cera lasciava il posto all'oro fuso che veniva colato dentro lo stampo e in questo modo si riusciva a creare effetti preziosi e molto simili alla filigrana, questa falsa filigrana fusa veniva usata anche per accentuare ed impreziosire alcune caratteristiche stilizzate di uccelli acquatici,  caimani, pesci, gatti, cervi e altri animali che evidentemente, erano apprezzati dai Sinù non solo come fonte di alimentazione.  Proprio questo tipo di lavorazione dell'oro è una delle principali caratteristiche di identificazione della intera comunità Sinù, una cultura che, benché ubicata nei pressi della costa, si differenziava da quella caraibica avvicinandosi maggiormente alle caratteristiche stilistiche della cultura chibca, quella sviluppatasi sugli altopiani.  Qualcuno considera oggi la raffinatezza espressa dagli antichi lavori Sinù , una premessa a quello che saprà esprimere in seguito la cultura dei quimbaya.  


Nell'ambito della stessa cultura Sinù esistevano delle differenze: C’erano i Sinù che, all'epoca della conquista spagnola, vivevano sulle montagne di di San Jacinto e poi c’erano quelli che vivevano lungo la costa. Dal punto di vista religioso i Sinù delle montagne custodivano i loro morti dentro grossi contenitori di coccio e li sotterravano sotto le loro abitazioni, mentre quelli della costa di seppellivano nelle campagne in tumuli funerari.

Ma anche nell'artigianato c'erano delle differenze:  Quelli delle montagne usavano una lega d'oro che conteneva una quantità piuttosto alta di rame -  e bassa di oro -  e con lega questa creavano oggetti di uso comune, per far assumere a questi oggetti la loro caratteristica colorazione dorata, li sottoponevano a un forte riscaldamento chimico che faceva dissolvere il rame presente in superficie e permetteva all’oro di  risplendere.  
 
Tipica della produzione orafa dei sinù delle montagne di San Jacinto fu la rappresentazione scenica di concepirono per le loro creazioni, dove troviamo uccelli seduti su un ramo,  felini che lottano contro coccodrilli o di rapaci che volano con le loro prede tra gli artigli. Di solito le caratteristiche fisiche di uomini ed animali venivano descritte con attenzione e ciò permette di conoscere e ammirare i ricchi addobbi dei dignitari di corte, o le acconciature delle signore ma altre volte le forme del corpo venivano stilizzate e le immagini antropomorfe si trasformavano fino a fondere le sembianze di un volto umano con una capigliatura a forma di cresta di uccello o con un corpo dalle forme di pesce o di lucertola. Tipicità dell’oreficeria degli abitanti delle montagne, che non li allontana però dal mantenere le loro profonde relazioni stilistiche con i lavori delle tribù sinù della costa.

Le  donne nella Cultura Sinù           
Come dicevamo erano frequenti i casi di Cacicco-donna, come erano frequenti le rappresentazioni di piccoli idoli di "Venere nuda" usati come motivo di culto.

Nel museo del  Marqués de San Jorge, a Bogotá, è esposta una delle opere più importanti della cultura Sinù, la cosiddetta  Maternidad Sinú, si tratta di una terracotta che rappresenta una donna con testa e narici piuttosto grandi, con un vaso sulla testa, una ricca collana sul petto ed il suo bambino in braccio.
Sinu: Figura femminile  disegnata con ricche decorazioni sul corpo
e sulla acconciatura. Le incisioni sono evidenziate in  bianco
Quest'opera racchiude in sé tutte le caratteristiche che identificano questa cultura e il profondo rispetto che aveva il popolo per la donna, infatti sono state trovate anche numerose coppe votive a forma di colonna che rappresentano una amorevole ricostruzione della maternità.
Nel periodo tardo di questa cultura si prese l'uso di deformare leggermente il cranio delle figure umane, ingrandendolo per permettere di dare maggiore evidenza agli occhi e ai gioielli indossati, elementi che identificavano il rango o il ruolo sociale della persona rappresentata ma che servirà anche ad esprimere e raccontare anche i momenti più importanti della vita quotidiana, soprattutto quelli felici come la nascita o i momenti più dolorosi come la morte .
Maternità Sinú 
(Museo de Cerámica, Bogotá)

Un discorso a parte merita il valore simbolico dell'oro che veniva usato dai Sinù come mezzo di scambio nel baratto, ma possedeva anche una serie di qualità come quella di augurare felicità nel regalarlo ad una persona o agli dei per sentirsi più vicini. Per questo motivo le tombe Sinù erano ricche di questo materiale prezioso. È sorprendente anche la varietà di caratura usata dai Sinù nella lavorazione dell'oro, tra l'altro non è chiaro se fosse estratto da loro stessi nelle miniere o se lo cercassero tra le acque di fiumi.

Nella cultura Sinú, la donna era il símbolo della fertilità e della saggezza e per questo era rispettata e considerata alla pari dell'uomo nella gestione della cosa pubblica,  immagini femminili sono spesso riprodotte sulle ceramiche che decorano le tombe per simbolizzare sia la fertilità dell’uomo che quella della terra.    

Queste immagini rappresentavano non solo il momento del trapasso ma essenzialmente esprimevano il concetto della rinascita perpetua del genere umano che -  dopo la morte e dopo una permanenza  nell "inframundo" , proprio come i semi a contatto con la terra - germoglia per dar vita a una nuova pianta. Una funzione quella della donna di grande importanza religiosa, sociale e politica nella cultura sinù : all’arrivo degli spagnoli nel  16º secolo, il Gran Cacicco dei Sinù era - el Toto – la Signora che, dal centro religioso di Finzenú sul río Sinú , controllava tutti i cacicchi delle valli.

 LA CERÁMICA SINÚ

Come abbiamo detto in ogni provincia del grande Sinù esistevano dei gruppi di persone specializzate in una sola produzione o in un certo tipo di commercio, ma grazie al suolo intorno al rio Sinù e al rio San Jorge, ricco di argilla ovunque veniva lavorata la ceramica. La tecnica usata per costruire i vasi era quella di arrotolare l'argilla e poi risalire, ripulendone la superficie e decorandola con manici e becchi. 
Si producevano recipienti di uso domestico, rituale o funerario i primi avevano forme semplici e colori simili, erano contenitori per alimenti per lo più a forma globulare, grandi recipienti per cucinare, coppe e vasi decorati con incisioni e disegni normalmente solo all'interno o all'esterno del   "calice".   

Contenitore antropo-zoomorfo  -  (un paca” si tura il naso 
con le zampe mentre il suo corpo si trasforma in fiasca)

La ceramica rituale e funeraria invece era piuttosto varia, anche se influenzata sempre dal concetto della "canasta che racchiude uomini e animali" con il disegno di fibre vegetali intrecciate che si riflette in tutte le decorazioni dei tessuti e della ceramica Sinù. I disegni riproducono la trama dell’ordito di un canestro, tanto da sembrare maglie di una rete da pesca. Tipico della produzione di statuette Sinù è la rappresentazione di figure umane piuttosto tozze, spesso femminili in cui ci viene mostrato uno squarcio di vita, dalle pettinature, agli orecchini, alle narigueras, alle collane e ai braccialetti.  Anche per quanto riguarda la pittura corporale si usavano gli stessi disegni che venivano applicati con rodillos e pintaderas con motivi e dimensioni differenti.
Il realismo nel rappresentare gli animali non fu una abilità esclusiva della oreficeria, frequenti sono i ritrovamenti di ceramiche a forma di mammiferi, felini, tartarughe e caimani, spesso usati come decorazione per i coperchi delle canaste. La ceramica maggiormente apprezzata in questa cultura è quella di Betanci, dove su coppe con alti piedistalli e su vasi globulari troviamo delle applicazioni di  figure femminili che ci permettono di comprendere qual era il modo di vestire e le decorazioni che usavano donne e ragazze Sinù.
Bibliografia :

1. Historia del Arte Colombiano - 1983 Salvat Editore S.A. Barcelona
2. .historiadelarte.us/andes/la-cultura-sinu/
3..udistrital.edu.co/universidad/colombia


 3.La Cultura Muisca   ( 350 a.C - 1650 d.C)
Contenitore a sfera, restaurato nella parte del collo
dove sono state riprodotte decorazioni  simili a quelle della bocca

Alla metà del primo millennio a.C. il popolo Muisca arrivò sugli altopiani delle Ande Centrali Colombiane, parlava la lingua dei Chibcha, e qui sorse ub sistema politico con confederazioni di piccole tribu, poco a nord dell'attuale Bogotà (l'antica Bacatà) e dominarono sulle savane che oggi si trovano nei dipartimenti colombiani di Boyacá  e Cundinamarca. La loro storia finì con la sottomissione e lo sterminio del suo popolo e con l'uccisione a tradimento dell'ultimo cacicco. 

Nei laghetti di queste zone è riconducibile anche la storia mitizzata de "El Dorado" (forse intorno al laghetto di Guatavita) e dell' oro e dei smeraldi buttati nel lago come offerta alla Dea, per questo forse l'arte muisca è simboleggiata e conosciuta in tutto il mondo per la meravigliosa balsa d'oro, esposta al Museo del Oro di Bogotá, che allude, appunto, alla leggenda della laguna. 

Oltre che per la storia dei caciccati dei Zipa e dei Zaque, ai miti dei loro Dei e alla lavorazione dell'oro, i Muisca furono famosi come produttori delle ricche "mantas pintadas" - le coperte usate nelle cerimonie religiose da nobili e cacicchi - tessute con stoffe pregiate, pietre colorate e piume preziose. Ma anche per la loro potenza sociale ed economica dovuta alle miniere di smeraldi e di sale. Ai tempi della conquista erano oltre un milione e vivevano in una società solida e rispettosa dei loro Dei, venerati in quei templi distrutti dai Conquistadores.

Consiglio di leggere qualche brano del libro "Los Chibchas ante de la conquista española" che Vicente Restrepo pubblicò nel 1895 e che, a parte alcune valutazioni personali e politiche, fornisce molte informazioni sulla vita di questo popolo. 


La balsa Muisca in oro raffigurante la cerimonia dell' El dorado

( Vedi la Pag. "Racconti Precolombiani - (6) ")  e   - "La Confederazione muisca")
 

Oggi i Muisca, sono il popolo di lingua Chibcha, tra i più studiati dal punto di vista antropologico, storiografico e linguistico tanto che si può quasi dire che l’immagine della Colombia, prima dell’arrivo degli spagnoli, spesso viene associata con la cultura dei  Chibcha.

I Muisca  vivevano sull'altopiano cundiboyacense a tremila metri di altezza e il loro territorio si estendeva dal Paramo di Sumapaz e dal Nevado del Cocuy, fino alle vette orientali della Valle del fiume Magdalena, dove cominciava il territorio delle tribù dei Panches e dei Pijaos.

Era una serie di conche e di valli tra i fiumi Bogotá , Suarez  e y Chicamocha e si affacciava sulla savana, che si presentava come una grande zona paludosa con tutto intorno  una pianura coperta di pascoli e di bassa vegetazione.
In questa pianura c’erano degli agglomerati di casupole, Suba, Tuna, Usaquén, Teusaquillo, Cota, Engativá, Funza, Soacha e in qualcuno  di questi villaggi le case eramo costruite in modo da formare una specie di palazzo,  le  capanne giravano tutt'intorno in due o tre cerchi concentrici come a formare un fortino difensivo. Vista dall’alto questa "Valle de los Alcázares- dei fortini ", aveva come orizzonte la Cordillera Centrale, ed era diventata il nucleo del caciccato - cacicazgo - di Bogotà. 

Dopo la conquista spagnola, queste terre divennero il Nuevo Reino de Granada,  forse per il ricordo, suggerito dai paesaggi, della Spagna lontana,.   La sede del governo dei Muisca era a Funza, il cacicazgo più esteso e popolato della regione, non solo nel territorio dei Muisca ma di tutto il Sud America, verso la metà del 1500. Il governo era gestito dagli  Zipa, che lo avevano consolidato recentemente annettendo i vicini caciccati di Guatavita, Ubaque, Ubaté, Zipaquirá e Fusagasugá (Londoño, 1988).    
  
Il popolo "Muisca" arrivò sull'altiplano cundiboyacense tra il 5500 ed il 1000 a.C.  - nello stesso periodo in cui stavano sviluppandosi la maggior parte delle culture Pre-Classiche di quella che poi sarà chiamata America – e da popolo nomade, si stava trasformando in popolo stanziale. A partire dal  1500 a. C. arrivarono le prime tribù che già avevano acquisito tradizioni agrarie e artigianali, poi intorno al 500-800 a.C  una seconda ondata di immigrazione si spinse fino alle terre alte, come dimostrano i resti delle prime ceramiche multicolori e costruzioni.

I popoli che parlavano lingue Chibcha  erano numerosi  (Muiscas, Guanes, Laches e Chitareros) e occupavano i territori più estesi e più sviluppati economicamente di tutto il territorio di quella che diventerà la Colombia ispanica. A partire dal terzo secolo, i Chibcha avevano consolidato la loro civiltà nella parte nord delle Ande arrivando, in certi periodi fino a Panama e alle alte pianure della Sierra Orientale che, allora come oggi, erano le zone più ricche di tutta la zona tando da poter competere per prestigio con gli imperi del Messico.
Così i Muisca – che in lingua chibcha significa Persone-Uomini - insieme  ai  Quechua del Peru e agli Aymara della Bolivia costituivano i tre più importanti gruppi indigeni del Sud America.
I Mesoamericani (gli abitanti del Centro-America), che arrivarono verso il 1200a.C. , introdussero la coltivazione del mais e grazie alle condizioni climatiche e alla coltivazione intensiva, le popolazioni che si stabilizzarono in queste terre crebbero demograficamente e impostarono le basi per una organizzazione sociale avanzata.

Sono questi i popoli che costruirono  i monumenti litici di El Infiernito   e di Villa de Leyva . E sempre loro cominciarono a sfruttare le miniere di sale di Zipaquirá, Nemocón e Tausa.

Poi come abbiamo detto nel 500 a.C. arrivò la seconda ondata migratoria e di queste popolazioni troviamo testimonianza nella zona di San Agustín (oggi nel dipartimento di Huila), in Tierra Dentro (oggi dipartimento del Cauca), e di  Tumaco (oggi dipartimento di Nariño ).  Tra il  400 e il  300 a. C.  i Chibcha arrivarono via terra dalle terre che sono si chiamano Nicaragua e Honduras e raggiunsero la  Colombia, poco prima degli Arawak che si spinsero verso altre zone del Sud America, come il Brasile, l’Uraguay, e il Paraguay. Verso la fine del primo millennio arrivarono i Caribi che  cacciarono i Chibcha dalle terre basse e li spinsero verso gli altipiani.

Grazie alla loro organizzazione amministrativa, i Muisca crearono una economia forte e quando i conquistatori spagnoli arrivarono nel territorio della Confederazione, trovarono uno stato tanto ricco da stimolare la loro fantasia:  c'erano smeraldi, miniere di carbone, di rame  e di Sale (miniere a Nemocon Tausa e Zipaquira). 


L'oro era importato, ma era così abbondante da poter essere uno dei materiali più usati dagli orafi- rtigianali Muisca. Gli oggetti d'oro erano tanto comuni e tanto apprezzati che era tradizione che lo Zipa gettasse oro e pietre preziose come offerte alla dea di Guatavita. Da qui nacque  LA LEGGENDA MUISCA DI "EL DORADO"
I prodotti agricoli,  tessili e  minerari in determinate aree della Confederazione derano prodotti in abbondanza , tanto che  i  Chibcha potevano disporre di merci che sufficienti non solo alle necessità della popolazione, ma anche per pagare le imposte e per essere scambiate nei mercatini, che si tenevano  a  Bacatá, Zipaquirá, Tunja e Turmequé, anche un paio di volte a settimana. 

Gli scambi tra le differenti tribù avvenivano con il baratto e per stabilire il valore della merce si usavano dei pesi d'oro rotondi per valutare il peso e delle strisce di cotone per misurare le dimensioni. I dischi d’oro utilizzati dai Muisca erano usati come una misura con differenti dimensioni, peso e forma e servivano essenzialmente per conservare l’oro, non venivano mai dati come pagamento, non erano come moneta di scambio.  

La Religione e le Cerimonie Muísca

I sacerdoti venivano addestrati fin dall'infanzia per imparare a guidare le cerimonie religiose. La religione Muisca prevedeva sacrifici umani e ogni famiglia doveva offrire un figlio da sacrificare agli dei, ma questo era inteso come un onore sia la famiglia che per la vittima sacrificale.  I Musca - o meglio tutta la Confederazione dei Chibcha - adoravano il sole - come avveniva in tante altre culture in varie parti del mondo. Le lagune erano i loro santuari, erano i luoghi dove, in mezzo alle nebbie e in una atmosfera piena di fascino e misteri, vivevano le divinità che invocavano per difendersi dalle difficoltà della natura, dalla provvidenza spesso ostile in questi luoghi. Nelle lagune si rendevano ricchi tributi agli dei e in allegria si accompagnavano i riti nella frenesia della danza e della musica. I Muisca erano politeisti e adoravano le forze della natura che assunsero le sembianze dei loro Dei.

Avevano grandi Templi dedicati alle loro Divinità - Bochica, Chiminagua, Batchue', Garanchacha - ma sono stati tutti distrutti dai primi Conquistadores.


Gli Dei - Chibcha
  • Chiminichagua  - Dio creatore e forza suprema, salvò gli uomini dal diluvio
  • Xué              -  Il Sole, adorato dagli Zipa 
  • Chía  (chiamata anche Huitaco) - Dea Lunare e malefica, rivale di Xué-il Sole- adorata dagli Zaque 
  • Bachuè ( chiamata anche Tuzichogua) - Madre dell’ umanità e  dea dei legumi. ( Del tutto simile alla Dea Cerere dei Romani)
  • Cuchavira       -  Dio dell'Arcobaleno, del fuoco e dei tuoni
  • Chibchacum     - Protettore della gente, dei contadini e dei commercianti, era il Dio dei Terremoti e del mare. Portava, come Atlante, il mondo sulle spalle.
  • Chaquen       -Dio protettore di tutte le attività sociali, delle feste e delle corse, ma anche il Dio che puniva chi scappa dalle proprie responsabilità.
  • Bochica          - Eroe mitico delle Arti e della Civiltà, Dio del Sole.
  • Fomagata      Dio dalle sembianze mostruose, con coda di giaguaro, un solo occhio e quattro orecchie
  • Garanchacha   Divino Profeta figlio del sole e di una Vergine
  • Mentacoa      - Dio dei boschi, protettore dei pittori e dei tessitori
  • Pachamama  Madre terra, signora di tutte le cose visibili, delle montagne e delle pianure. 



Il credo dei Chibcha era simile al feticismo panteistica degli altri nativi americani e anche se i sacrifici umani non erano rari, la maggior parte delle offerte consisteva in oro, smeraldi, o prodotti del campo. Gli sciamani – Zeques o Jeques -  erano molti e si comportavano come si comportavano gli stregoni o gli indovini di qualsiasi altra religione.

L'organizzazione della Società


All’arrivo degli spagnoli popolazione muisca contava circa  650.000 abitanti e si divideva in Clan, ogni clan era in pratica una forma allargata di famiglia composta da persone che in qualche modo avevano vincoli di parentela, la società era caratterizzata dalla esogamia (quindi i matrimoni avvenivano tra individui di famiglie differenti) ed era permessa la  poligamia, anche se in realtà a praticarla era solo la classe nobile.  Alla morte del capo di una capitanìa, di una tribù o di una confederazione il potere era ereditato, come abbiamo detto, per linea matriarcale, cioè dal nipote del defunto, dal figlio della sorella. Quando si formava una nuova famiglia invece la residenza era patriarcale, cioè : la moglie si doveva trasferire nella casa della famiglia del marito.


I Clan erano organizzati in Capitanie - governate da una Capitanìa Maggiore (SYBYN) e da una Capitania Minore (UTA) nelle quali lo Status di Capitano era determinato dalla discendenza materna. Le capitanie si raggruppavano in tribù, governate dal CACICCO (affiancato da un consiglio tribale) e formavano delle cellule autonome della CONFEDERAZIONE muisca che condivideva la stessa lingua, la stessa cultura e relazioni sociali e commerciali sia interne che esterne.  

Le Confederazioni erano sempre unite quando si doveva fronteggiare un nemico comune a tutte le tribù ed avevano un esercito comandato dallo Zipa o dallo Zaque, formato dai “güeches” – i guerrieri - che avevano il compito di difendere l’onore dei Muisca - le Persone -.  Nel  territorio muisca esistevano 5 federazioni independienti, formate da 25 tribù:          

1.        La confederazione  di Bacatá o Bogotá: Era la più grande con  20 tribu governate dallo Zipa e comprendeva gran parte del dipartimento di Cundinamarca.
 
2.    La confederazione di Hunza o Tunja: raggruppava alcune zone di clima freddo  al nord di Cundinamarcae  e gran parte del Boyacá. Era governata dal Zaque.
 
3.    La confederazione di Tundama o Duitama, composta da poche tribu
 
4.    La confederazione di Sogamoso o Iraca: di scarsa estenzione territoriale, qui resiedeva il sacerdote più importante, quello che si occupava dell’ adorazione del sole.
 
5.    La confederazione dei  Guanes: formata da un sottogruppo di muisca che  occupava le rive dei fiumi Suarez e Chicamocha e la piana di Lérida a Santander.
 
Il popolo Muisca, di fatto, era guidato dallo Zipa di Bacatá e dallo Zaque di Hunza che,  benché fossero rivali per motivi politici, appartenevano alla stessa nazione,  e per la parte religiosa, erano soggetti al cacicco di Iraca.

La popolazione  lavorava le terre che erano attribuite al capo del clan o al sacerdote - o jeque-. Tutti i clan delle tribu e tutti i loro appartenenti  lavoravano i campi  del cacicco – o  uzaque (capo della tribu) - che incassava i tributi e ne consegnava una parte allo Zipa o al Zaque, i loro capi diretti nella gerarchia della confederazione.

Sia i capi della Confederazione che i Capi tribù e i sacerdoti formavano una classe superiore, che si  appropiava di parte delle eccedenze della produzione agricola e  mineraria. Questo fu il malcostume che originó la diferenziazione tra i gruppi nell’ambito della stessa società e che condusse alla formazione di classi sociali, fino ad arrivare alla nascita della  proprietà privata . L’appropiazione di una parte delle eccedenze di produzione aveva luogo per mezzo di un cobro de un tributo - cioè di tasse o imposte – che dovevano essere pagate con prodotti o con il lavoro,  forzato, nelle coltivazioni private dei capi tribù o dei sacerdoti. Questo sistema fu uno dei motivi che impidì che si formalizzasse la schiavitù nella società muisca.

La Confederazione Muisca non era un regno perché non aveva un monarca assoluto e nemmeno era un impero, perché non dominava altro gruppo etnico o popolo, quindi era una delle più grandi organizzazioni capaci di  tenere insieme, politicamente, differenti tribu in tutto il continente.



Le ricchezze dei Muisca


I Torteros - volantes - usati in molte culture per tessere
i tessuti - coniugano l'utilità e il buon gusto

L'industria della  ceramica si sviluppò, inizialmente, vicino alle miniere di sale dove si cominciarono a fabbricare i recipienti - i moyos -  dove si impastava il mais grattugiato.  

Grandi laboratori di ceramica artistica erano nei villaggi di Tocancipa, Tunja, Soacha, Gachancipá, Cogua, Guatavita, Guasca e Ráquira, dove ancora oggi si producono terrecotte di ottima qualità che servivano per la filatura dei tessuti, per la stampa sul corpo e sui tessuti, per i calchi nei quali fondeva l’oro , per gli strumenti musicali, - per i vasi votivi, per le figure antropomorfe degli Dei tutelari o di altri personaggi. 
Modellavano l’ argilla con le mani o usavano rotoli di fango impastato che appiccicavano e, dopo la cottura, la dipingevano con vernice rossa e bianca di varie tonalità ricavate da ossidi minerali. Certi vasi erano decorati con applicazioni aggiunte o con la tecnica dell’incisione che permetteva di disegnare mettendole in risalto delle figure antropomorfe o geometriche, in genere però le decorazioni sulla ceramica, per i Muisca,  erano scarse ed avevano un sempre significati simbolici, magici o religiosi. 

Volantes Muisca e Quimbaya
    L'oreficeria muisca usava molto la tecnica della tumbaga, che prevedeva una maggiore percentuale di rame nella lega d'oro, che poi veniva lavorato con la tecnica della martellatura di lamine finissime su cui venivano applicati fili d'oro oppure si usavano stampi per il sistema della cera persa

I tunjos- -  che non sono famosi per la loro bellezza - sembra che fossero rappresentazioni di personaggi importanti (divinità o governanti), per lo più femminili. I Muisca usavano la doratura per ossidazione per dare alla Tumbaga l'apparenza di oro fino. Secondo i cronisti dell'epoca la tumbaga veniva lavata col succo di piante molto acide e poi si metteva sul fuoco, in modo che il rame si ossidasse, producendo una pellicola di ossido di rame che una volta lucidata poteva essere rivestita con un sottile strato d'oro. Questa tecnica fu usata dai Muisca anche per ingannare gli spagnoli quando presero prigioniero Sagipa, l'ultima Zipa, e pretesero un riscatto in oro. 

A dimostrazione dell’abilità orafa dei Muisca restano numerosi esempi di diademi, collane, anelli per il naso, bracciali, corazze, maschere oltre ai famosi tunjos e alle tante miniature in filigrana, in genere su superficie piana. 



Le Case dei Muísca   

L'architettura muisca si sviluppò nello stesso periodo di quella Azteca, Maya e Inca ma non ebbe uno sviluppo altrettanto maestoso, la differenza essenziale fu il mancato uso della pietra nelle costruzioni, anche se i Chibcha avevano molta disponibilità di pietra nel loro territorio. Ma non furono in grado di usarla né per la scultura né per le costruzioni.

L'architettura dei Chibcha, quindi  era molto semplice e usava solo canna, fango e paglia per fare i muri esterni. Le case comuni avevano due sole forme: coniche o rettangolari. Le prime consistevano in un muro rotondo che si reggeva su bastoni interrati su forti pilastri su cui erano infilate delle robuste canne doppie tra le quali veniva pressato del fango per formare le pareti ed il pavimento rialzato, il tetto era conico e coperto di paglia. Fu per la vista di una gran quantità di costruzioni con questa tipica forma a cono che Gonzalo Jiménez de Quesada, il primo Conquistador spagnolo, quando arrivò in questa zona della savana di Bogotà, volle chiamarla  Valle degli Alcazares. 


Le costruzioni  rettangolari avevano mura parallele, anche queste di argilla e come le altre case avevano porte e finestre molto piccole. L'arredamento era semplice e consisteva principalmente di letti di canna, chiamati barbacoas, sui quali erano gettate molte coperte e c’erano pochi posti per sedersi, perché i Muisca usavano riposarsi accovacciati sul pavimento. Oltre alle case comuni, quelle del popolo, c'erano altri due tipi di edifici: uno serviva ai capi della tribù e del clan, e l’altro ai grandi capi delle Confederazioni Chibcha:  i Zaque e i Zipa.

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La guerra e i guerrieri 

Le armi per la guerra erano gli stessi strumenti che servivano per la caccia con piccole modifiche per usarle nella lotta contro gli altri uomini. I Chibcha utilizzavano dei grandi bastoni, delle lance, delle mazze di legno e lanciavano i sassi con le fionde, ma la loro arma principale era la tiradera – o estolica - un arnese che serviva per lanciare lontano e con precisione, dei piccoli dardi molto leggeri con una punta di legno durissima.
Sia in guerra che nelle feste i chibchas usava no degli strumenti musicali conici -  una specie di oboe – le  dulzaina , fatte di terracotta.

Quando in guerra si catturavano bambini di tribù nemiche, venivano destinati ad essere sacrificati al Dio Sole e fino al momento del sacrificio venivano fatti vivere in case speciali dove ricevevano un buon trattamento e i migliori cibi.  Il sacrificio si svolgeva in un luogo sopraelevato dove si poteva vedere l’orizzonte fino al lontano oriente.  I capi del cerimoniale accompagnavano la creatura e la facevano poggiare in terra su una coperta sottile, dove con una lama di canna sgozzavano il bambino e il suo sangue veniva raccolto in una totuma – una ciotola - per spargerlo sulle pietre dove cadevano le prime luci dell'alba. Il corpo della vittima poi veniva sepolto in una grotta o era lasciato all’esposizione del sole, fino a ad essere essiccato e bruciato dai raggi del sole tropicale. Questo sacrificio raccapricciante serviva per placare il Dio sole. 
Allo stesso modo anche i cacicchi facevano sacrifici umani e a volte scagliavano le loro frecce  centro le porte delle case  del loro popolo e poi portavano i corpi dei malcapitati e il loro sangue sulle colline alte, dove si compiva il sacrificio e dove con il sangue delle vittime si colorava no le pietre che avrebbe baciato il sole nascente e dove si sarebbero state seppellite le vittime con il viso che guardava verso il sole dell’oriente.



Le leggi dei Muisca

I Muisca erano governati da un complesso sistema di sentenze o di leggi molto rigide, che erano alla base del loro ordine morale, politico e sociale. Il  Codice di Nemequene, non era scritto, i Muisca non avevano una scrittura ed era trasmesso oralmente, di generazione in generazione. Il codice non permetteva l'incesto e condannava a morte gli omicidi, anche se avevano ottenuto il perdono dei familiari del defunto. Il furto veniva punito con la pena di  morte come la CORRUZIONE. Se una donna moriva di parto, il marito doveva indennizzare la familia della esposa. La pena di morte era prevista anche per chi violentava una donna  e per chi scappava dalla guerra. Per legge alla gente comune non erano consentiti i lussi di cui potevano godere le classi nobili.

I Conquistadores e la Cedula Real

Conquistadores  arrivarono tra il 1499  ed il 1536 per cercare oro e smeraldi e, come primo atto politico, distrussero le  strutture politiche, sociali e religiose. Il primo insediamento spagnolo avvenne sulla costa caraibica dove nel 1525 fu fondata la città di Santa Marta. La capitale Santa Fé de Bogotá fu fondata poco dopo nel 1538 e i Chibcha furono sottomessi nel 1541, quasi senza nessuna reazione della popolazione che, dopo l'uccisione dell'ultimo Cacicco, restò incredula e incapace di comprendere come dei semplici uomini avessero osato alzare una mano assassina contro il loro Capo assoluto, senza incorrere nell'ira dei loro Dei che, quindi, dovevano essere meno potenti di quelli imposti dai conquistadores.
Nel 1571 la popolazione Chibcha si era già ridotta a solo 150.000 persone e nel XVII  secolo la cultura Chibcha era praticamente estinta.
Il 10 maggio 1770, con una "cedula real" di Carlos III, gli spagnoli imposero  il "castigliano" come unica lingua e vietarono l'uso di tutte le lingue indigene ancora parlate dai popoli conquistati.

Rif.:
Tunja  -           http://www.allaboutall.info/article/Tunja

Socorro          http://www.allaboutall.info/article/Socorro>,
Bucaramanga  http://www.allaboutall.info/article/Bucaramanga
Floridablanca  http://www.allaboutall.info/article/Floridablanca

Pamplona http://www.allaboutall.info/article/Pamplona
http://www.galeon.com/culturasamerica/Muiscas.htm
http://clubensayos.com/Historia/Civilizacion-Chibcha/17130.html


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4. La Cultura Calima   (1600 a.C - 600 d.C)


"Canaste" - contenitori zoomorfi  bifronti, decorati con forme serpentine ( Restepo - Valle del Cauca)
In Colombia, lungo la cordigliera occidentale delle Ande, in una zona a 1500 m di altezza, nella attuale regione Restrepo-Darién, nel dipartimento del valle del Cauca, in una zona dal clima temperato e ricca di acqua c’è una pianura che scende fino all'oceano Pacifico. 
Qui scorre il Rio Calima, tra il Rio San Juan a Nord e il Rio Dagua a Sud, prima in mezzo ad una selva tropicale e poi verso la foce nella zona dei mangales.
Qui sono stati ritrovati diversi terrazzamenti artificiali che sembra risalgano ad un periodo tra il 1600 a.C. e di 600 d.C., erano terreni squadrati che servivano oltre che per essere coltivati anche per costruire delle case rurali per piccole comunità, spesso proprio nelle zone dei terrazzamenti sono stati ritrovati anche dei disegni sulla roccia e molte tombe scavate a pozzo, dove venivano collocati i corpi dei defunti con tutte le loro pertinenze e oggetti necessari per il loro viaggio ultraterreno. Fu la ricchezza degli oggetti in ceramica e d'oro a provocare le costanti violazioni delle tombe con scavi il cui unico motivo era il saccheggio delle cose di valore che avevano accompagnato , fino a quel momento,il defunto.
I  primi guaqueros arrivarono verso la metà del 20º secolo, quando si scoprirono le prime tombe, fu allora che si riconobbero le caratteristiche di una nuova cultura precolombiana, una cultura che dalle sue vestigia mostra tracce inconfondibili e affinità con la cultura quimbaya.


Canastero: Vaso caratteristico Calima, per le sue qualità 
plastiche possiamo qualificarlo "statua-ritratto". 

La zona che viene riconosciuta come culla della cultura calima non esprime l’arte e l’esperienza di un solo popolo ma è un insieme delle culture pervenuteci dalle tante popolazioni che abitarono la zona per almeno due millenni. Si ritiene che, visti i tanti ritrovamenti di oggetti di oreficeria e di ceramica dalle avanzate tecniche di lavorazione, la zona fosse densamente popolata e che le tribù identificate come cultura calima parlassero una lingua della famiglia Caribe.
Ogni tribù era governata da un proprio cacicco e benché la poligamia forse un uso diffuso, le donne svolsero un ruolo importante sia nei lavori agricoli che in guerra.

Osservando la posizione geografica di questa zona si può ben comprendere come possa essere stata, fin dai tempi antichi un importante centro d'interscambio indigeno da dove venivano esportati ceramica ed oro lavorato, come si può desumere dai tanti oggetti di arte Calima rinvenuti in un'area molto più estesa di quella di origine.  

Come dicevamo la cultura Calima abbracciò un periodo di oltre 2000 anni e, ovviamente, la sua evoluzione non fu uniforme, anzi fu in continua e spontanea trasformazione, perché ogni nuova popolazione che succedeva alla precedente non ignorava, bensì metteva a frutto tutte le conoscenze passate per sviluppare una propria nuova tecnica, un nuovo stile e un proprio modo di vita, di nessuna di queste popolazioni è rimasta nessuna documentazione, tanto che oggi per classificare la cultura Calima si usa distinguerla in tre differenti periodi culturali : Ilama, Yotoco y Sonso.

Ma queste definizioni sono arbitrarie, scelte dagli archeologi e non hanno un riferimento storico o artistico - Yotoco e Sonso - presero il nome da nomi indigeni che avevano indicavano le località in cui furono rinvenuti i primi resti archeologici attribuiti a queste culture, mentre Ilama era il nome di un pueblo che si trovava in territorio sonso, all'epoca della conquista e che nel 1.552 era governato da un cacicco di nome “Bonba”.


  • Periodo Ilama dal 1600 a.c. al  100 a.C. - Caratteristica principale che distingue questo periodo è la ceramica con immagini che rappresentano scene di vita quotidiana della gente comune, di animali domestici, di animali selvaggi e di altre creature immaginarie come l'uomo-metà animale.


  • Periodo Yotoco  dal 200 a.C.  al 1200 d.C. questo periodo è quello che ha prodotto il maggior numero di oggetti rinvenuti negli ultimi anni, sono oggetti che hanno in comune i colori nero rosso e arancia, altra caratteristica è la forma di uccello o di rana che troviamo in molti vasi di terracotta.


  • Periodo Sonso, dal 650 d.C. al 1600 d.C. la caratteristica distintiva di questo periodo sono i contenitori di terracotta che poggiano su tre zampe, forse per un significato nel loro uso nei rituali e nelle cerimonie religiose.
Alcazarra Calima con tre bocce, tre piedi e un ponte di raccordo tra i becchi, 

Molti vasi si presentano con una corpo globulare ed un collo che finisce svasato, oppure hanno la forma della “doble vertedera” con un doppio becco che serviva per far entrare l'aria da un lato e far uscire il liquido dall'altro, oppure con un doppio contenitore unito fa un ponte che faceva da raccordo. Vasi che comunemente vengono chiamati alcarraza.

Le stesse affinità si possono trovare anche nell'oreficeria dove in genere gli oggetti rinvenuti sono di una buona lega d'oro e sono lavorati con la tecnica del martellato e del ribattuto.

Facile quindi confondere quindi oggetti che potrebbero essere attribuiti ad una o all’altra società, infatti sono tutti oggetti della stessa cultura Calima, ma ci sono motivi che giustificano la distinzione: gli oggetti d'oro erano molto più comuni nel periodo Yotoco e presentavano una gamma di tecnica lavorativa molto raffinata che permise la creazione di pezzi spettacolari. I ceramisti yotoco invece dominavano la tecnica della pittura policroma, dopo che nel periodo precedente si usavano solo i rossi  e i neri.
Attribuibili al periodo Ilama, sono stati ritrovati oggetti di ceramica con riferimenti cosmici, in cui venivano disegnati personaggi mitici, poi la riproduzione avvenne su pezzi di oreficeria in oro.  

Gli indizi per distinguere il periodo Sonso dagli altri due sono meno numerosi, anche se nella ceramica le forme e i profili dei vasi sono ben differenti da quelle nitide ed equilibrate degli alrei periodi. Gli oggetti in oro avevano una lega più bassa, rispetto al passato, e l’uso del rame per fondere la tumbaga era molto più frequente. Ma anche la tecnica di lavorazione subì un brusco cambiamento, tanto che il martellato praticamente scomparve e si impose la tecnica della fusione a cera persa.

Silbato - fischietto in terracotta 
La storia della manifattura  Calima è documentata dal ritrovamento di antiche asce di pietra, cinture e collane fatte con schegge di quarzo, silbatos – zufoli fatti di osso o di  ceramica –
scale di corda – fatte con corteccia intrecciata del majagua,  un albero della famiglia dell'ibisco - legate con corde di pelo,  torteros - volani usati per la tessitura  - fatti di ceramica o di pietra di lavagna, tutti decorati con disegni e incisioni.
La ceramica Calima si presenta sempre ben elaborata, decorata con motivi zoomorfi e dipinta di color ocra, arancio, rosso e nero e rifinita con incisioni e rilievi applicati,  particolarità calima sono i vasi con tre manici, che servivano per essere portati a spalla.
Ma quello che caratterizzò la ceramica Calima fu la grandiosità e la varietà delle creazioni degli oggetti di uso domestico - tazze, coppe e recipienti  - di qualsiasi genere e forme con disegni e decorazioni che raffiguravano animali oppure uomini stilizzati che a volte ricordano rappresentazioni mitiche, o fanno pensare ad una forma astratta precolombiana.



"Canasta Calima"
L'elemento più rappresentativo della ceramica calima sono i canasteros, piccole sculture di figure umane che portano sulle spalle un grosso carico, in un canestro di forma cilindrica. È impressionante il realismo di queste figure in cui si può apprezzare la descrizione dei caratteri fisici, dei vestiti e persino l'espressione e la fatica che traspare dal volto. 


"Canasta Calima"
I canasteros antropomorfi sono degli oggetti eseguiti con una grande abilità tanto da sembrare delle vere statue con decorazioni spesso incise con disegni geometrici, ma a volte con una superficie liscia.
Un "Paton" probabilmente Calima
Altri elementi tipici dei Calima sono le i cosidetti  “patón”. Si tratta statuette vuote, in posizione eretta e con le gambe leggermente divaricate, si tratta di recipienti ad uso rituale nei quali i fedeli lasciavano offerte per la divinità della casa: rappresentavano la maternità, figure di donna grassa, quindi l’opulenza o personaggi la cui caratteristica erano le fessure degli occhi incise e le labbra molto grosse, carnose. Ma fu tutta la produzione sia ceramica che orafa Calima a raggiungere una forma raffinata e sempre dal forte significato spirituale e ispirato anche nelle forme della naturta, dell’uomo, degli animali o nelle figure mitiche.


contexto-colombiano



5. La Cultura Malagana      (  500 a.C - 500 d.C)
Malagana : Muñeca Blanca



La cultura Malagana è l'ultima scoperta (1992) nella provincia di El Bolo a quindici minuti dall'aeroporto di Palmira nel Valle.  
Durante i lavori di livellamento del terreno per per prepararlo alla semina della canna, i macchinari pesanti si imbatterono in una quantità di tombe indigene, antiche, difficilmente quantificabili perché molte di queste già risultarono saccheggiate. 

Inizialmente si disse che le tombe dei  Señores de Malagana, con tutti i loro arredi funerari d'oro e le ceramiche rituali, fossero almeno 46, anche se c'è chi racconta che da quelle tombe già avessero portato via oggetti antichi per ben 1200 d'oro. Quindi possiamo dire che i primi a scoprire questa nuova cultura furono i guaqueros, i tombaroli, ben prima dell'arrivo degli archeologi. 

Molto curioso il nome dato a questa cultura che raggiunse il massimo splendore nei primi secoli della nostra era, dove oggi sorge la città di Palmira, nel dipartimento di Valle del Cauca, quindi su terre in cui si sviluppò anche la cultura Calima, con la quale sembra ci fossero stati numerosi scambi oltre che commerciali anche di tecnica orafa e ceramica.

Si ritiene infatti che qui abitassero dei popoli con una una organizzazione caciccale  con dei livelli gerarchici stabiliti in base alla età, al’attività svolta e al ruolo sociale che non veniva precluso alle donne che partecipavano attivamente alla vita sociale, come documentato nelle raffigurazioni su alcuni pezzi ceramici di questa cultura.


Malagana : Muñeca roja con cara blanca
Non si conoscono le cause per cui i Malagana scomparvero da questa regione, ma fortunatamente negli ultimi trent'anni i numerosi reperti ritrovati hanno permesso una classificazione autonoma di questa cultura. 

Basta il nome Malagana per ispirare una immediata simpatia per questa cultura, scoperta per caso, poco a poco, fino ad essere riconosciuta come a sé stante, po più di trent'anni fa e localizzata intorno alla pista che porta a San Isidro Bolo. 

Queste terre appartenevano a Dona Margarita Cobo Rengifo che, quando morì il 30 ottobre 1783, le lasciò ai suoi  schiavi ; erano le terre che affacciano sul fiume Bolo, dal lato della strada tra Palmira e la Candelaria, denominate appunto Bolo San Isidro, all'epoca erano coltivate a caffè, cacao, banane e pascolo. Si racconta che gli eredi naturali si opposero fermamente a questa donazione e si rifiutarono per molti anni di consegnare le terre come previsto dal testamento e che solo dopo lunghi procedimenti giudiziari furono costretti a consegnare di "Mala gana” le terre ai nuovi proprietari, solo perché ordinato dalla legge. 

Sembra che sia per questo motivo che la hacienda e i resti archeologici che vi sono stati ritrovati si chiamano  Malagana.  


Malagana : 
Muñeca Blanca con cara roja
Le tecniche e lo stile di questa cultura presentano molte similitudini con forme e simbologia dei Calima, Tolima, Quimbaya, Tumaco e Nariño, grazie ad un intenso interscambio culturale, politico e sociale che avvenne durante il concomitante periodo di splendore che vissero queste culture, all'inizio del primo millennio dell'era cristiana. 

L'oreficeria dei Malagana era caratterizzata da lavori su lamine d'oro, o meglio di tumbaga di buona lega (molto simili alla produzione del periodo yotoco – calima), ma usavano anche il martellato - per creare maschere rituali e funerarie - e la tecnica della cera perduta.

La ceramica e caratterizzata dalla sua finezza ed alla pulizia del levigato, come possiamo vedere dalle tre deliziose Muñecas che vediamo nelle foto di questa pagina, oltre che nelle ocarine, nei contenitori e nelle alcarrazas. i colori dominanti sono sempre in bianco e l'ocra della terracotta lucidata.



http://www.todacolombia.com/culturas/malagana.html


6. La Cultura dei Quimbaya    (500 a.C - 1500 d.C)



“Quimbaya” è una parola che mi  fa tornare alla mente una natura esuberante, grandiosa, esagerata nelle sue manifestazioni, verde fino all'impossibile, per merito di una fauna e di una flora che esprimono una straordinaria biodiversità con le sue orchidee, con i colori dei tanti fiori e delle rose o con l'imponenza dei boschi di guadua, l'enorme tronco del bambù tropicale che è servito a far nascere tutte le civiltà delle zone equatoriali.  

I “Quimbaya” - già 2000 anni prima dell'arrivo dei conquistatori  - vivevano in quello che oggi è l’ “Eje cafetero”, un angolo di Colombia che si trova sulla cordigliera centrale andina a poco più di 1500 m di altezza  attorno al Parque Nacional Natural Los Nevados e attualmente parte dei dipartamenti di CaldasRisaraldaQuindío. (Peccato che io non abbia mai trovato il tempo per conoscere meglio ManizalesPereira e Armenia, i rispettivi capoluoghi).

Volante per tessitura con incisioni bianche

Per tradizione gli oggetti archeologici ritrovati in questa regione vengono tutti classificati “Quimbaya” , anche se frutto del lavoro e della cultura di popoli e di epoche diverse, infatti  - grazie ad un ecosistema molto composito per fauna, flora e risorse naturali, climatiche e minerarie di una terra abbracciata de fiumi, valli, terre calde e nevai eterni -  già 20.000 anni fa nella zona che oggi chiamiamo “Cauca Medio” si stanziarono le prime popolazioni che a partire dal 500 a.C. e fino all'anno 600 della nostra era diedero vita a quello che gli archeologi hanno definito Primo Período della cultura Quimbaya.

In quel periodo esistevano delle società gerarchiche, probabilmente organizzate in caciccati, nelle quali i capi svolgevano funzioni politiche e religiose ed in cui veniva apprezzato l'artigianato e particolarmente l’oreficeria, come possiamo assumere dai tanti oggetti di ottima fattura oggi conosciuti come " Quimbaya".

Intorno al nono secolo molte abitudini comportamentali delle popolazioni del Cauca medio cambiarono forse  per il forte incremento della popolazione e questi cambiamenti portano al passaggio al “Período Tardo” (800 - 1600 d.C.).
"Pintadera Quimbaya" usata per
dipingere corpo e tessuti

Questi cambiamenti  della cultura e dei costumi e della società Quimbaya, diedero vita ad un  processo di profonda diversificazione sociale e determinarono una nuova estetica che portò a una visione figurativa del corpo umano più elaborata che portò all'uso di tatuaggi, bracciali, cavigliere e schegge di osso inserite nelle narici o nel labbro inferiore come abbellimento e simbolo di appartenenza. I cacicchi usavano molto queste decorazioni e questo tipo di pitture corporee che li portò ad assumere le sembianza di uomini giaguaro, di uomini-rana, o di uomini-rettile





        La trasformazione del potere

Volante s forme geometriche incise in bianco
Come era stato durante il primo periodo, anche nel Periodo tardo la lavorazione dell’oro continuò ad essere apprezzata, ma l'uso degli oggetti prodotti subì profondi cambiamenti. I simboli del potere - che nel Primo Periodo erano costituiti da vasi rituali destinati al consumo della coca, da diademi e copricapi -  nel Periodo Tardo furono sostituiti da grossi pettorali, da narigueras triangolari e da decorazioni ossee inserite nel labbro inferiore. Le forme morbide e arrotondate che rappresentavano donne o i frutti maturi – simbolo di fertilità –  furono sostituite da figure maschili e da figure uomo-animale, da forme geometriche e da immagini zoomorfe: simboli che rivelano nuove idee e un cambiamento di una società che sta creando nuovi idoli e che sta trasformando il rispetto in vero culto per il capo. 

Uomo Giaguaro
A questo periodo si devono attribuire i pettorali in oro -  sempre più grandi – che mostrano disegni complessi che rappresentavano i nuovi emblemi del potere:

1. Forme geometriche e di uccelli schematici
2. Figure di lucertole e altri rettili
3. Immagini antropomorfe maschili stilizzate
4. Figure umane stilizzate con caratteristiche animali.

Osservando i disegni Quimbaya del Periodo Tardo si può notare che le figure di uomo animale  sono una combinazione di una testa, del sesso e del seno umani e di un corpo, una postura, una coda, dita rugose e acconciature he ricordano rettili o felini.

Si sa che nelle società indigene americane, fin dai tempi antichi, è sempre esistita una credenza nella capacità di alcune persone di trasformarsi in animali e di assumere i loro poteri. Erano gli sciamani ad avere questa capacità, e che si trasformavano in uccello, giaguaro o pipistrello e che potevano volare, magari non visti nascosti nei boschi, che avevano la capacità di vedere al buio, che potevano mangiare i loro nemici e guardare il mondo a testa in giù.

Erano questi i poteri che conferivano grande prestigio e autorità a chi li possedeva.

Per questo motivo i "cacicchi" di questa regione cominciarono a dipingersi il corpo con ricchi disegni: per poter somigliare ed assumere la forza ed i poteri dell’animale di cui indossavano la pelliccia sul perizoma da cui lasciavano uscire la coda e indossavano gioielli e anelli che trasformavano le loro unghie in potenti artigli.

Come gli sciamani nel passato, in questo periodo anche i capi delle tribù Quimbaya, grazie a queste apparenti metamorfosi riuscivano ad essere profondamente ammirati e temuti dal popolo per i poteri che dichiaravano di possedere.

Una visione circolare della vita e della morte

Tra i Quimbaya si usava cremare i morti,  che poi venivano sepolti in urne funerarie con metodi e rituali che indicano l'esistenza di una elaborata struttura sociale e di un ricco pensiero sul concetto della morte. Le loro ceneri venivano conservate in vasi di ceramica più o meno pregiati in base al rango sociale occupato dal defunto, che in genere portava con sé anche i suoi beni personali. Nelle urne venivano depositati i resti di uno o più individui e poi venivano sepolte a poca profondità, generalmente intorno alle abitazioni della famiglia. Successivamente si cominciò a seppellire i morti in cimiteri che si trovavano normalmente in luoghi isolati, talvolta in cima alle colline e proprio ad evidenziare le profonde differenze sociali la ricchezza dei beni lasciati nelle tombe ad accompagnare il defunto, identificava la famiglia e il rango sociale del defunto.
     
Coppa rituale in ceramica nera e incisioni geometriche
Le urne ritrovate mostrano una grande diversità in termini di qualità, forme e decorazioni. In molti casi erano contenitori di uso domestico, con forme semplici e con finitura ruvida, ma sono state ritrovate anche delle urne, a forma cilindrica, con una forma bassa e allargata, spesso con rilievi o sporgenze, simili ad una zucca, un ovale, con decorazioni che ricordano caratteristiche femminili con una pancia prominente come se contenesse un feto e se fosse pronta per il parto.

Potremmo definirle urne-utero, infatti la morte in alcune culture andine era intesa come un momento-simbolo del trapasso, del passaggio del defunto che - attraverso uno stato intermedio - si preparava ad una nuova nascita, ad una nuova vita.

Le urne cinerarie per questo motivo, alcune volte ricordavano i tratti di una donna incinta che, rappresentando un momento di attesa di una nuova vita, suggerisce il concetto trascendente della spirale che collega la morte alla vita.

Uno dei musei archeologici più importanti dell'intera Colombia, El Museo del Oro Quimbaya, si trova  a Armenia, capoluogo del  Quindío e con  le sue testimonianze rende omaggio agli antichi abitanti di queste zone che crearono oggetti di artigianato in oro, tumbago e ceramica apprezzati universalmente per la loro originalità ancora attuale.


Ma perché l’oreficeria Quimbaya è rosa brillante ?

Si lavorava l'oro per creare oggetti per decorare il corpo, per fare strumenti musicali o contenitori per il consumo delle foglie di coca e, in genere questi oggetti di notevole fattura erano ad uso dei capi-villaggi  che usandoli rafforzavano il loro prestigio, il loro potere e potevano propiziare la fertilità ed i raccolti.

Piccolo pendente in Tumbaga
Le forme più frequenti di molti oggetti rappresentavano figure femminili e le loro rotondità, erano simbolo di equilibrio, di fertilità e di vita, e le loro superfici brillanti che assumevano un colore caldo, quasi rosato si potevano attenere solo se fuse abilmente in  una lega chiamata “tumbaga”, una sapiente miscela tra oro e rame.

Certe credenze delle popolazioni indigene colombiane ritengono l’oro sia un elemento maschile, mentre il rame sia un elemento femminile:  mettendo in relazione il significato di questi due elementi, naturalmente complementari tra di loro, e mischiandoli con le giuste percentuali studiate dagli orefici Quimbaya si ottiene un colore rosato, caldo e brillante che – idealmente – conferisce  alle creazioni di tumbaga un significato e un potere sacro e profondamente spirituale.

Le figure umane che rappresentavano i Quimbaya con le loro opere in ceramica e in metallo, avevano quindi  un proprio significato intrinseco, erano dei messaggi  inviati da chi li ideava o da chi li commissionava verso chi li osservava.  Gioielli, tatuaggi, acconciature, le intenzionali deformazioni degli arti o la limatura dei denti, le caratteristiche somatiche, tutto serviva per identificare le caratteristiche, l’etnia, il sesso, la sua famiglia o il rango sociale della figura rappresentata.

Per questo motivo gli orefici raggiunsero una posizione privilegiata nella società e le loro conoscenze tecnologiche e il loro potere di trasformare i metalli divennero motivo di prestigio e di rispetto, qualcuno li chiamò addirittura "Signori del fuoco" attribuendo loro una discendenza divina.

Il "Tesoro dei Quimbaya"
Poporo Quimbaya esposto al
Museo de Oro di Bogotà


Il celebre "Tesoro dei Quimbaya" era formato da circa 200 oggetti d'oro da un numero imprecisato di oggetti in ceramica che costituivano i corredi funerari di due tombe del 250 d.C., trovate presso il sito di La Soledad, nel Quindio.  Una parte del "Tesoro" fu acquistata nel 1891 dal governo per essere esposta a Madrid e mostrare le bellezze e la ricchezza del patrimonio culturale della Colombia nella commemorazione del quarto centenario della scoperta dell’America.

Purtroppo il Presidente  dell’epoca ebbe la splendida idea di regalarlo alla corona spagnola, pertando oggi il tesoro è esposto nel Museo di America di Madrid, mentre altri oggetti sono conservati nel Museo dell'Oro di Bogotà.
“Quello che possono insegnarci gli Indigeni colombiani non sono le grandi opere d'arte, non è la poesia, la architettura o la scultura, ma i loro sistemi filosofici, i concetti che si occupano del rapporto tra uomo e natura, della necessità di una coesistenza pacifica, di un comportamento discreto e della scelta di un giusto equilibrio. "
Gerard Reichel-Domatoff. antropologo

Nel 1540 all'arrivo degli europei la terra dei Quimbaya era abitata  da diverse popolazioni: Caramanta, Cartama, Zopía, Quinchía, Irra, Anserma, Chanco, Arma, Paucura, Pozo, Picara, Carrapa, Quimbaya e Quindio: salvo pochi gruppi scomparvero tutti poco dopo la conquista. 


7.  La Cultura dei Tolima     ( 900 a.C - 1500 d.C)


Chi abita a Bogotà e scende verso le pianure, man mano che scende di livello, passa da un clima temperato ad uno decisamente più caldo scende verso le  "tierras calientes" verso il Tolima. 
Una regione fertile arrampicata sulla Cordigliera Centrale, che anticamente fu abitata dai Pijaos e dai Panches, tenaci tribù guerriere che, oltre ad opporsi vigorosamente agli Spagnoli,  furono anche magnifici orafi capaci di schematizzare la figura umana in modo estremamente moderno, come possiamo vedere dall'armonia, dalla bellezza e dal rigore che troviamo nei pettorali Tolima che riducono a due dimensioni la figura umana nella quale con semplici angoli retti si delineano delle simmetrie multiple che creano, grazie anche al colore brillante del tombaga, degli oggetti meravigliosamente pieni di vita. Ma pettorali e ciondoli mostrano anche delle figure fantastiche come uomini alati con coda e orecchie da felino o da pipistrello. Figure in continua evoluzione che evocano il potere attribuito a questi animali di conoscere i segreti della vita e della morte: Segreti che l'uomo cerca di acquisire prendendone le sembianze.
Avioncitos

Belli da vedere, oltre che pieni di significato, sono i famosi "avioncitos". 

Miniature di piccoli insetti immaginari 

con testa e bocca di giaguaro,  con ali di 

uccello e coda di pesce. 

Ricordano la forma degli aerei di oggi, probabilmente servivano agli sciamani come talismani, come oggetti magici, che rappresentavano creature ibride nelle quali la forma del pesce (acqua), dell'uccello (aria) e del colore dorato del giaguaro (terra) si fondevano per significare il potere dell'uomo sugli elementi dell'acqua, dell'aria e della terra. 

Io non escluderei comunque un semplice esercizio di miniatura e di fantasia di abili orafi, un gioco che diede vita ad oggetti fantastici, solo casualmente simili nella forma a quelli che oggi noi chiamiamo aerei.
Incensiere Tolima
globulare con pittura negativa

Come  ceramisti realizzarono vasi, color ocra o neri, con alto collo,  con decorazioni a figure geometriche in negativo. Molto ricca la varietà delle urne funerarie la cui parte superiore rappresentava il defunto: La donne erano  sedute direttamente sulla copertura della tomba, che faceva da base alla statua, mentre l'uomo veniva rappresentato seduto su una panca.  L'uso della panca o del sedile, in quasi tutti i gruppi  indígeni, fu sempre un privilegio dei soli uomini. 

Tazze, bottiglie, alcarrazas, pentole e vasi treppiede facevano parte dei corredi funerari. Anche qui il disegno riprende i motivi geometrici che abbiamo trovato nell'oreficeria.





8. La Cultura dei Nariño                  (700 d.C - 1500 d.C)


Coppa bassa con disegno negativo e un bordo esterno 
che rappresenta un cerchio solare  con motivi 
geometrici ripetitivi che racchiudono una fascia che 
combina eleganti elementi astratti di origine zoomorfa.

     Prima dell'arrivo degli spagnoli, l'altopiano che si trova nel dipartimento colombiano di Nariño e che oggi prosegue in territorio ecuadoriano, costituiva una unica area culturale abitata da tribù di cui non si conosce il nome originale. Furono chiamati “Pastos” dagli spagnoli, forse per i prati verdi di queste terre, o forse   per la parola “pazutos”, come gli spagnoli  chiamavano quei rozzi e ostili contadini. 






Anche il nome “quillacinga” – che furono i primi abitanti della  valle de Atriz  e abitavano 
la zona all'arrivo degli spagnoli nel 1535 - era un nome  imposto dai precedenti invasori che
arrivavano dal Tahuantisuyo, gli Inca. 
Sontuosa dimostrazione di decorazione bicolore
con frange, raggi e combinazione di giochi geometrici
In lingua quechua Quillacinga significava "mezzaluna", e forse voleva indicare il vezzo degli uomini di queste tribù di portare al naso una decorazione a forma di mezzaluna (simile al yacametztli del Messico).
Ariballo: è il nome greco degli alti vasi ovoidali dal collo lungo
ritrovati in queste zone e riccamente decorati con motivi geometrici.
Quello della foto è di dimensioni ridotte ( 30 cm)


L'altipiano si trova a 3000 m sul livello del mare tra la valle del Chota, nella 
provincia del Carchi in Ecuador e l'alta valle del río Guáitara in Colombia, era
abitato da tribù di un differente livello di sviluppo come Abades, Quillacinga e
Sindaguas  che lasciarono due tipi di terracotta dalle caratteristiche differenti.

In questa ampia zona nacque la cultura Nariño che si può distinguere in due
complessi:


    Capulí   –            approssimativamente al XII secolo d.C 

Piartal-Tuza -    tra i secoli 8° e  16º d. C.


Sapiente decorazione geometrica bicolore di un piatto
che esprime tutti i caratteri pittorici narinos
 Piccolo vaso interamente dipinto, bicolore, con
 effetti plastici che evidenziano le forme 
femminili.  Probabimente veniva usato come
 "Poporo"  per conservare la calce per la coca.






















Gli scavi del complesso Capulí , nel 
municipio di  Ipiales, hanno portato a
ritrovamenti risalgono che probabilmente
all'11º secolo e hanno portato alla luce 
delle coppe dall'alto piedistallo con una 
gran varietà di forme, alcune doppie o 
triple, a volte a forma di “cargador”, ma 
anche dei vasi con una riproduzione di 
animali sul bordo, oltre a statuine di 
“coqueros” e di immagini femminili sedute,
ma anche grandi conchiglie marine 
rivestite in oro o riprodotte in terracotta,
che servivano come trombe. 
Caratteristica della ceramica Capulì è la 
decorazione con pittura negativa nera su 
fondo rosso.
http://www.banrepcultural.org/blaavirtual/arqueologia/prehisp/cp17.htm

Piatto dipinto solo all'interno con bella combinazione di motivi
decorativi::i motivi geometrici metono in risalto la figura
stilizzata di un uccello nel rosone centrale   
Il complesso Piartal fa riferimento a
piccoli popoli che abitavano una serie
di “bohios” case circolari rinvenute 
nell’ Alto río Patía  dove sono stati 
scoperti ritrovamenti  di ceramica
con pittura positiva e negativa dei tre 
colori base rosso, nero e crema. Le
forme più abbondanti sono anfore,
piatti rotondi, ocarine e grandi vasi.
https://prezi.com/jf4x9u70tswj/cultura-piartal-narino/

 Nel complesso Tuza – nella zona di Tuquerreles-Ipiales -  è stata ritrovata una ceramica ad 
uso essezialmente domestico, molto simile a quella del complesso Piartal e presenta una 
decorazione con pittura positiva rossa su crema con motivi figurativi.
http://www.bdigital.unal.edu.co/35730/1/36145-150007-1-PB.pdf

La ceramica della zona andina di Nariño raggiunse quindi un notevole sviluppo 
tecnico anche se non si conosceva il tornio e ci sembra facilmente riconoscibile 
sia dallo stile pittorico che per la loro tipica produzione di statuine e coppe 
decorate con motivi geometrici colorati.
Figura di "coquero con volto e corpo dipinti, seduto
 sul tipico banchetto.  La guancia gonfia dà il nome 
a questo tipo di ceramiche

Caratteristiche  di questa cultura sono le statuette dei cosiddetti "coqueros". Si tratta di statuine che ritraggono un uomo, normalmente seduto su un banchetto tipico con il volto e il corpo dipinti con disegni geometrici e una guancia gonfia per le foglie di coca tostata che, mischiate con la calce, venivano masticate per godere degli effetti dell’alcaloide che, usato in questo modo era un semplice narcotico che provocava uno stato di torpore ideale per estraniarsi dal mondo ed avvicinarsi agli Dei, in uno stato di estasi fino a percepire dei poteri soprannaturali, come si può immaginare dallo sguardo perso di chi viaggia in mondi sconosciuti e senza tempo, dopo aver raggiunto una sacra beatitudine.
A volte i "coqueros" venivano rappresentati con in mano una coppa o un poporo, che conteneva la calce che serviva ad addolcire le foglie di coca.
Coppa semplice decorata solo all'esterno con 
pittura geometrica bicolore, per uso domestico
     Altre immagini tipiche della cultura Nariño sono i "gritones" statuine o vasi con bocca esageratamente aperta e con un volto dalle forme squadrate o triangolari dipinto con tinta nera su fondo rosso e  capace di trasmettere una profonda inquietudine, esattamente l'opposto della tranquilla beatitudine riflessiva o sognante trasmessa dai "coqueros". 
     Ma anche le immagini femminili furono modellate con precisione e ci mostrano i canoni della bellezza aborigena precolombiana, modellata con precisione nella 
argilla, permettendoci di conoscere le particolarità e l'aspetto fisico di queste 
popolazioni.   Ma sono interessanti anche i tanti tipi di coppe, con una base bassa, 
con le pareti spesse e decorate con pittura nera sulla superficie rossa, o con 
disegni rossi e bianchi su una superficie color crema.

Le ocarine a forma di Lumaca erano di diverse
dimensioni e di vari tipi di colorazione e incisioni a
linee geometriche

     Sia nella ceramica che nella scultura si possono trovare personaggi con la pelle e la forma del cranio deformata, costa che può indicare una distinzione sociale, come si può anche vedere dalla diversa importanza gerarchica riscontrata nelle tombe. Per quanto riguarda il governo delle tribù nariño si ritiene che fossero governate da cacicchi indipendenti insieme ad una elite composta da sciamani, carri militari e religiosi che godevano di particolari privilegi. Non sembra che ci fossero dei popoli che esercitassero una preponderanza politica sui vicini o che esistesse una federazione di tribù.


9. La Cultura Tumaco-Tolita  

  (500 a.C - 400-500 d.C)    
 
La cultura Tumaco si sviluppò lungo la costa del Pacifico, nella zona sud della Colombia, intorno all'attuale confine con l'Ecuador e si intrecciò, confondendosi spesso con la cultura Tolita, che potremmo ben localizzare nell'attuale Stato di Esmeralda, in Ecuador, in una società di tipo teocratico.  Una caratteristica dominante di questa cultura fu la grande immaginazione creativa che possiamo vedere nella produzione ceramica della e delle miniature che raccontano, descrivono minuziosamente la vita e le fattezze della gente e e della società. 

Guardando queste statuine, per lo più dei mezzo-busto, sembra di sfogliare le pagine di un album di foto di famiglia dei tempi passati in cui ritroviamo personaggi unici, riconoscibili per le proprie caratteristiche, per le insegne e le decorazioni che testimoniano il rango sociale o ì segni lasciati dal lavoro che svolto o dalle deformazioni del cranio, imposte dalle credenze religiose. Immagini di vita reale e della società di un'epoca che ci trasmette sentimenti, felicità, dolore, infermità e, qualche volta, morte.

Nel Sud della Colombia lungo l’attuale confine tra Nariño  le province ecuadoriane di Esmeraldas e di Manabí, in una zona bassa e piovosa, coperta da foreste tropicali e folte mangrovie,  spesso sommersa dalle acque della costa del Pacífico, per migliaia di anni abitarono popolazioni di pescatori, cacciatori e agricoltori. 
Un solo popolo, i Tumaco,  imparò a lavorare i metalli e visse qui per circa mille anni, tra il 500 a.C. ed il 500 d.C.


La produzione di terrecotte e statuine, tutte riccamente decorate, lasciateci dalla Culture Tumaco, dal punto di vista stilistico, non è classificabile facilmente perché la maggior parte dei reperti provengono da  scavi non autorizzati o  da ritrovamenti occasionali che non permettono di risalire al loro luogo di origine per comprendere se siano frutto della stessa cultura o di più culture che si affiancarono o succedettero durante la loro storia millenaria. 

Le prime informazioni su ritrovamenti Tumaco furono raccolte da Fray Juan de Santa Gertrudis che visitó la Costa Pacífica del Sud America nel 1756 e scrisse nel suo libro “Maravillas de la naturaleza”: 
Si trovano lì regolarmente varie statuette di fango fatte con molta perfezione… Ma si trovano anche fatte d’oro con occhi di smeraldo, e gioielli in filigrana d’oro della grandezza di una testa di spillo…”  
Santa Gertrudis scrisse anche :  
“Chiamano questo popolo  La Tola perché il loro territorio è pieno di  tolas come  vengono chiamati i cumuli di terra… Sono sepolture degli antichi indios, che, secondo i loro usi, venivano interrati con tutti i loro averi, infatti nelle tombe si sono trovati molti oggetti preziosi…  Ma  ogni volta che le maree salgono e si ritirano gli indios vanno a vedere se le acque hanno portato via  le tolas o parte del loro contenuto” .


I popoli delle Mangrovie


Sugli isolotti che emergono dai boschi di mangrovie, le antiche comunità dei Tumaco costruivano dei "monticulos"  dei monticelli di terra che formavano zone rialzate su cui potevano costruire le loro case. Erano pescatori, raccoglitori di frutti di mare, cacciatori di piccoli animali e uccelli e, quando riuscivano a proteggere, con dune e fosstei, le loro terre dalle acque del mare, erano anche agricoltori. Dalla sabbia dei loro fiumi estraevano l'oro e il platino che usavano per creare dei piccoli, deliziosi ornamenti che venivano apprezzati per la loro bellezza, non certo per il valore dei materiali usati per fonderli o per comporli.



Le case, costruite su piattaforme sopraelevate per proteggersi dalle inondazioni, avevano pianta rettangolare e tetto a due spioventi. Si spostavano in canoa e arrivavano fino al largo delle coste, muovendosi da un’isola all’altra e sulle pianure inondate durante l’alta marea. 
Per pescare usavano reti zavorrate da pesi di pietra e ami d’oro, oggetti che dimostrano che le loro attività di pesca si svolgevano non solo in mare aperto ma anche tra le acque delle mangrovie, tra i delta e gli estuari dei fiumi.


Sono stati trovati frammenti di cerámica abbandonati tra le cose vecchie, nelle tombe o vicino al mare. Molte delle statuine sono senza testa, come se fossero state rotte volutamente, per un rituale. La figura umana era il soggetto principale dei ceramisti  che la rappresentavano sempre in forma realistica, con volti decorati da  orecchini e  narigueras, ma spesso mostrava anche imperfezioni fisiche o deformazioni del cranio, come simbolo del rango sociale, come per le popolazioni di Messico e Perù.  


Figura umana con le estremità
che terminano a forma di coccodrillo



Maternità
"Rodillo" o "Pintadera"-
usati per stampare tessuti o dipingere la pelle -
espressione di stili e gusti artistici  lontani.
Tolima

Le statuine di cerámica, come le persone rappresentate, erano colorate anche se, con il passar del tempo e l’umidità della regione, il colore oginale è andato perso. Per dipingere il corpo si usavano utensili di terracotta, quelli che vennero chiamati dagli spagnoli "Pintaderos" e, in genere,  avevano una forma  piatta   (Sellos) o cilindrica (Rodillos), in genere riccamente decorati con forme geometriche.



Cacicchi e Chamani



Il privilegio di essere sepolti nelle Tulas, sotto dei tumuli di terra, era riservato ai caciques, che comandavano la vita economica e cerimoniale delle comunità più numerose e progredite. Nelle loro tombe si sono ritrovati sontuose decorazioni come ciondoli, diademi e narigueras d’oro, che erano sepolte insieme al defunto. In alcune tombe de  “La Tolita” sono stati trovati anche dei contenitori (delle ollas) sovrapposti, come a formare una specie di colonne, le cosiddette  timburas. 

Mono - Ritratto di una scimmia

Lo chamán era l’uomo che aveva la conoscenza, quello a cui era delegato il rapporto tra gli uomini e il mondo spirituale. Forse sono proprio gli chamani, i personaggi che, nelle decorazioni delle ceramiche, sono rappresentati con maschere feline, infatti il  giaguaro (Felix concolor) ed il puma (Leo onca)  simbolizzano nel pensiero amerindo,  il potere e la forza del maschio, così come la destrezza e la sagacia dell’animale, del cacciatore e del guerriero.

E’ questa forza che il sacerdote cerca di simbolizzare nel suo ruolo di mediatore tra gli uomini e gli dei.


La Ceramica





La cerámica dei Tumaco rappresenta sempre scene di vita quotidiana nel suo aspetto più concreto come la
Ritratto con collana
maternità, le malattie, le deformazioni, l’erotismo e la vecchiaia.  
I Tumaco furono straordinari ceramisti e la loro maestría in questa arte li fa collocare tra i più grandi alfareros – ceramisti di tutto il continente Americano

Gli alfareros Tumaco lavoravano solo la terracotta utilizzando due differenti tecniche di lavoro : Si lavorava un pasta fatta di creta o argilla insieme a materiali sgrassanti e le si dava la forma voluta (normalmente di vaso) modellandola con le mani prima di decorarlo e cuocerlo, oppure si usavano delle forme, degli stampi (moldes), di cui si sono rinvenuti vari esempi nei giacimenti archeologici, e questo spiega la frequenza di oggetti  replicati in forma identica.  


La produzione dei ceramisti Tumaco non si limitò a statuine e a  ritratti  ma creò anche molte forme di catini, piatti, vasi tripodi, coppe, ralladores (grattugie), caraffe, bottiglie, volani per la tessitura, fischietti, tasselli intariati per la pittura del corpo e dei tessuti di forma piana o cilindrica, etc.


La tecnica della decorazione sulla ceramica comprense sia la incisione, fatta sulla argilla fresca, prima della cottura della terracotta, che la pressióne, fatta per modellare l’argilla ancora umida, che il rilievo, aggiungendo applicazioni di altre figure sulla forma base dell’argilla, prima di cuocerla e di colorarla, generalmente con toni di rosso, bianco, color caramello o nero.



L' Arte




La forza espressiva degli artisti tumaco è forse il carattere più evidente che permette di apprezzare la  profonda emozione estetica e l’ispirazione di chi ha creato queste opere, per lo più a carattere antropomorfo.  fu trattato dagli artisti Tumaco con vera maestría e si può affermare che questi definirono per primi l’orientamento plástico della ceramica di questa regióne della Colombia. Nelle figure-ritratto i Tumaco hanno saputo esprimere una vera maestria in grado di competere per la loro plasticità con le antiche culture peruane, fino al messaggio religioso espresso dalle loro máschere antropo-zoomorfe.


Nelle espressioni del volto gli artisti riuscivano a raggiungere una grande perfezione infondendo al fango fresco la forza psicologica di un messaggio capace di riprodurre nella mimica facciale dal piacere, alla serenità, da uno sguardo aggressivo o marziale ad uno sguardo ironico o caricaturale.


Caciques, guerreri, sacerdoti, stregoni, curanderos o chamani, maschere che rappresentano Deità o  ammirevoli riproduzioni della natura, sono stati la principale fonte di ispirazione di questi ceramisti sudamericani, capaci di modellare la figura umana, quasi fino alla perfezione del ritratto, dandole forme armoniche e fedeli fin nei símboli della loro gerarcha política o dei loro poteri religiosi.


Il giaguaro, il coatí, il pesce, il serpente, la scimmia, le alctraz (uccelli che noi chiamiamo “sula”), il gufo e l’aquila, furono gli animali che dominarono la loro religione occupando un posto predominante nel mondo dei loro mitici antenati.E’ forse questo carattere votivo ed un chiaro significato religioso, che ci viene trasmesso dalle statuette Tumaco e da molte manifestazioni dell’arte precolombiana. Questo potrebbe esser uno dei motivi per cui si sono ritrovati molti reperti nei depositi archeologici del río Mataje ed in altri siti della costa meridionale del versante del Pacifico, fino al confine con l’Equador.  



L'Espressione del Potere 



Ritratto di dignitario con corona di piume

I gruppi Tumaco-La Tolita realizzarono società con centri polítici ed economici che raggiunsero il rango di caciccati (cacicazgos) -  con  centri nell’isola di La Tolita, nella zona di parte di Tumaco  e nell’area de Santiago-Cayapas (nell’attuale Ecuador) - e mantennero legami culturali ed economici con altri gruppi che vivevano al largo della Costa del Pacifico scambiando con loro sia per i generi alimentari che oggetti pregiati, molto apprezzati dai cacicchi.  In tutte queste popolazioni i capi locali avevano l’autorità di mobilitare la popolazione per la construzione di tolas o di tumuli di terra, quelli che oggi vengono definiti “templi montículos” e che costituivano gli elementi architettonici più importanti dei centri abitati.  
Le tolas furono utilizzate come basamento per edifici o come luoghi dove, a cielo aperto, si tenevano cerimonie religiose, ma anche come cimiteri.






Nelle tolas gli archeologi hanno trovato evidenze di fuochi, luoghi di lavoro e tracce di antiche indicazioni oltre a molte fosse in cui erano tumulate urne di terracotta, insieme a ceramiche, conchiglie   e metalli secondo il rango occupato dai defunti  nella società.



Altro carattere importante de queste società  è l’invenzione e lo sviluppo di diverse tecniche metallurgiche, di forme e di símboli

La metallurgia fu un veicolo per mezzo del quale i gruppi sociali espressero diverse idee fondamentali del loro pensiero religioso, comune anche altri popoli indigeni che vivevano nell’attuale Colombia.



Una opinione:  

"Questi antichi popoli non avevano una scrittura - dice J. Errazuriz, un commerciante e studioso della cultura Tumaco – il loro modo di lasciare una traccia nella storia sta tutto nelle testimonianze che troviamo nelle opere di argilla sui loro usi e costumi”.  "Era un popolo essenzialmente machista" "Il mondo dei Tumaco era paradisiaco  -  dichiarò il collezionista in una internvista al settimanale Crono – perché si dedicarono all’arte realista, creando degli oggetti piccoli e disdegnando quelli monumentali. Per questo motivo non ebbero schiavi come quelli che dovettero usare gli aztechi, i maya e gli egiziani per costruire le piramidi di San Juan de Teotihuacán, di Chichén Itzá  o del Cairo. Invece i Tumaco si dedicarono al buen comer, al buen vivir e al buen amar. Non erano un popolo bellicoso e amavano la perfezione. Fu una cultura che nacque all’improvviso. Tanto che viene da chiedersi se arrivò dall’Asia o se dalla perduta Atlantide, certo fu una civiltà  portata qui, instaurata, per dirla più chiaramente". 
 
10. Oltre confine  : Esmeralda



Tra le tante cose belle trovate sulle bancarelle di San Alejo, comprate nei mercatini della domenica o scambiate con il fido "guaquero" Don Rodrigo, che veniva a trovarmi una volta al mese non ho potuto evitare qualche infiltrazione di culture precolombiane che gli odierni confini geografici definiscono: equadoreñe. 

Certo quel poco che ho appreso dalle mie ricerche sulle popolazioni che abitarono la Colombia e oggetti artistici o di uso comune, prodotti dalle loro culture, non è sufficiente a permettermi di estendere i miei commenti oltre "confine".



















Questi piccoli contenitori e queste bellissime statuine muliebri mi sono state vendute senza indicare la loro esatta provenienza, ma dicendo solo che arrivavano dal sud, dalla zona di Esmeralda, oltre il confine con l'Ecuador. 



Sulla base di queste indicazioni, credo di poter attribuire queste belle ceramiche alla cultura Jama-Coaque,  che si sviluppò appunto lungo la costa pacifica, poco  oltre i confini colombiani, tra il 400 a.C.e il 500 d.C.






La ceramica Jama-Coaque era preparata con un impasto molto lavorato che permetteva di realizzare forme e geometrie molto originali sia per le forme dei vasi decorati che per le statuine accurate nelle incisioni geometriche, nei colori assunti dalle terracotte, nella colorazione del corpo e dei volti. 













Segue  - foto - e commenti alle foto - da impaginare rispettando la progressione









Venere di Valdivia

   Per ultimo ho lasciato le statuine più semplici, più sensuali e più antiche,furono scoperte sulla costa ecuadoriana, nella zona di Valdivia , ancora oggi un piccolo villaggio, e da questo piccolo centro sembra aver avuto origine tutta la ceramica andina che si diffuse al seguito delle varie culture che si sovrapposero nel tempo.

     Le "Veneri di Valdivia", sono delle piccole ma bellissime statuine che riproducono l'immagine di una donna divinizzata, ben proporzionata, con un corpo completamente nudo, di un colore bruno rossiccio e ben proporzionato, erano venerate come tutte simbolo di fertilità e protettrici dei campi e dei raccolti di mais. Questi begli oggetti hanno delle caratteristiche uniche, volto scolpito su una superficie non levigata, taglio degli occhi rigidamente asiatico, bocca arcuata e naso appena accennato. La capigliatura è folta, lunga, liscia, divisa al centro e, accuratamente pettinata, scende fin sulle spalle. Le mani sono raccolte in grembo e fanno pensare ad una giovanissima Madonna. 


Esmeralda : Le Veneri di Valdivia


   Il corpo lucido evidenzia la bellezza delle forme, forse messe in risalto dai continui sfregamenti di chi nel toccare questa splendida terracotta - anche se riprodotta chissà quante volte - ha provato a credere di sentirsi un po' più vicino ad un passato che cominciò più di 4000 anni fa.




museo-bahia-caraquez


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