BLOG : SONETTO CXXIII





























Eh No! Tempo mio: nun me la cambi, a me, la vita.
Le maestosità tue, pure sì co' n tocco moderno,
a me, me pare solo robba vecchia e aripulita
e nun ce vedo gnente de novo e d'eterno.

Er tempo nostro è poco e tu ce 'mpressioni,
ce 'nsabbi er passato e ce manni all'avventura ;
poi ce riscalli ma minestra fatta a misura
e 'r ricordo  ce se confonne co' l' illusioni.

Io te sfido e te sfido tra resti e rovine
de quer presente e de quer passato
che ce vòi fa vede. E manco a tutte le panzane
che pareno vere, appena che sei scappato. 

Io so' fatto così, e te giuro che nun c'ho dubbio 
e manco si me finisce er Tempo: io me cambio.


5 mar.2017


Questa traduzione del Sonetto CXXIII di Shakespeare  è un esperimento di contraddizione. 
Ho sempre sostenuto che la poesia sia una espressione formale con le massime potenzialità di una lingua e che la sua riduzione in altre lingue sia uno sminuire il pensiero e la volontà dell'autore stesso. Più che un esperimento questo è un gioco che cercherò di ripetere anche con il sonetto LIX, proprio per il contenuto dei due sonetti che, appunto, parlano di contrappunti, contrapposizioni, contraddizioni. 
In questo sonetto, il poeta dice che nella vita non c'è nulla di nuovo e che tutte le cose si ripetono in una successione infinita. Anche le piramidi (le maestà) che stupiscono imponenza, non sono realmente cose del tutto nuove. Non sono altro che riproposizioni, recrudescenze di qualcosa già avvenuta nel passato, anche se ormai dimenticata o nascosta sotto la polvere della storia. 
E' lo stra-potere del tempo che Il poeta sfida e giura di non volersi piegare alla sua eterna supremazia.




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