SONETTI romani .... ( 1)


Quelli che seguono sono dei versi scritti con le parole che per prime vengono alla mente, spontanee, quelle che, di solito, prima di essere dette in pubblico, si correggono e si mettono in bella copia per esprimere il pensiero " in lingua", perché chi legge lo possa intendere più facilmente. 

Questa volta ho preferito non rispettare le abitudini e lasciare le parole libere, in  bilico tra  una parlata  in italiano e un  mezzo-dialetto dei giorni  nostri.  Un  ibrido senza regole, per dare voce alle sensazioni del momento, raccontate con gli stessi ritmi e colori che un qualsiasi orecchio attento potrà ritrovare - anche ai giorni nostri - passeggiando per le strade e i vicoli di Roma. 
E' questa l'atmosfera, l'odore, l'aria di luoghi stregati da sempre, dove i segni del tempo possono infastidire, ma non riescono a far dimenticare lo spirito e la memoria di una storia che  si rivela in ogni angolo, in ogni pietra.  
Accompagnano queste parole alcune foto e immagini di Roma che raccontano qualcosa di curioso, stavolta in italiano.


Scorci del Foro Romano
Il Lottatore

             


   



Il  Satiro 

La fontana delle Tartarighe

Poi mi è capitato di leggere alcune righe che hanno ribadito il mio pensiero sulla impossibilità di tradurre in altra  lingua il concetto e,  allo stesso tempo il ritmo,  l'umore di un testo:


"La parola è mercuriale, mutevole e relativa; fragile al punto di doversi difendere nel tempo per eternare, di contrabbando, i suoi messaggi: ecco il significato di Babele, ecco la parola criptica delle predizioni secolari, dei profeti, della rivelazione religiosa.

La parola è un vino raro che mal tollera il viaggio.

Una lingua straniera è una bandiera di quarantena, una poesia tradotta è un’altra poesia.

La parola è cifrata: i tecnici della linguistica ci spiegano che si può parlare solo a chi possiede il codice del cifrario, cioè si parla solo a chi sa già che cosa gli diciamo. Dunque la parola è al di sopra della semplice comunicazione, è un faticoso patto-sfida fra gli uomini."
(Vittorio Gassman a Giorgio Soavi - Lettere d’amore sulla bellezza)

   Indice   (prima parte)



-  Introduzione : Madama Lucrezia
-  Punti de Vista
-  Razzolamo come ce pare
-  La bona Misura
-  L'Olimpiadi
-  Un Pizzico de sale
-  Occhi Farlocchi
-  Perché l' Omo se sta zitto?
-  Er Ghetto
-  Ma che Peccato!
-  Con Licenza
-  I Santi Protettori
-  Na Minestra Riscallata
-  I Numeri
-  Sonetto
-  Miraggio
-  L'Ombra
-  Er Progresso
-  Nun semo tutti uguali
-  Na cosa Normale
-  Nuvola d'Autunno
-  L'Articolo 36
-  Nessuno ce Penzava
-  Er Rimarolo Strabbico
-  L'equilibrista
-  Bubbu ? Tettete !!
-  Disincanto
-  Lorzignori !
-  Pasta e Facioli
-  'Gnoranza docet
-  Lo Scrigno
-  L'amatriciana
-  L'accidente
-  Porpettine de pesce
-  Baccalà romano
-  Lo Stato de diritto
-  Er fresco de la sera
-  Bastian contrario
-  Le rogne
-  Nun c’è tempo
-  Penziero Debbole
-  Foco Amico
-  La Bandiera
-  Lo Sturbo Naturale
-  L'Assassini
-  Le Favolette
-  L'educazzione
-  Lo sbajo
-  Razza de Ladri
-  Ma guarda tante vorte     
-  Un penziero imporverato
-  La Voce de la Paura
-  Er Coraggio de pretenne
-  Nun serve a gnente 
-  Finché c'hai fiato
-  Quelli diverzi
-  I Santi-Padri "Santi"
-  Er popolo Sovrano
-    Er papetto novo
-  L'ova der Nazzareno
-  La Bella Libertà
-  Cinque Lire de Pescetti
-  Er Caffé 
-  Grazie
-  Er Gusto de sceje
-  Er Sapore der Tempo
-  Er Piacere che me piace
-  Parole vòte
-  Vedi e n un vedi
-  Un Brutt' Effetto
-  Er Coro der Dindarolo
-  La Marchetta de la Miseria
-  La Fregnaccia
-  L'Eroe
-  Ritornello
-  La Coppa de Sciampagne
-  La Portrona
-  La Mezz'Ora
-  L'Osso der Collo
-  Fine Estate  
-  Terremoto 
-  Er Cavallo de Caligula 





                              ****
Introduzione : Madama Lucrezia
 
La passeggiata che ci accompagna nel racconto dei pensieri, dei rumori e degli umori di una Roma sempre più confusa e ormai quasi incapace di esprimersi nella sua parlata che ormai dimostra tutti i suoi cinquecento anni, comincia vicino al suo cuore moderno, dove c'è ancora una delle sue Statue Parlanti. 
Partiamo dalle stesse pietre che duemila anni sentivano altre voci che si esprimevano in tante lingue diverse, quelle dei popoli diventati parte di un impero che, a detta dei vincitori, unificava tutti nella pax romana. 
A Roma, allora come oggi, i romani che parlaveno romano ereno pochi e lo facevano con lo stesso gusto che noi proviamo oggi nel sentirci eredi di una romanità alla quale possiamo credere solo noi, perché ce piace. 
Ma parlare e scrivere nella lingua romana di oggi ci fa sentire bene, anche se questo piacere possiamo condividerlo solo con una comunità che diminuisce di giorno in giorno. Peccato, perché i dialetti, le lingue e le parlate delle minoranze nulla vogliono togliere alla cultura dei paesi che le ospitano, ma possono regalare qualche colore in più, anche se i colori, col tempo, tendono a sbiadirsi e a confondersi con altri colori di tinte simili.

 

Madama Lucrezia
Dall’Altare della Patria, guardando la grande piazza, a sinistra, tra l'ingresso della Basilica di San Marco e il palazzetto Venezia, quando non ci sono auto o moto parcheggiate davanti, riusciamo a vedere il maestoso busto di una Matrona romana, forse era la dea Iside, perché porta un nastro annodato sul petto. Ma per tutti è Madama Lucrezia. Potrebbe anche essere stata quella Lucrezia, moglie di Tarquinio Collatino, che si suicidò dopo essere stata stuprata da Lucio Sestio Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, l'ultimo re di Roma, colei che provocò la rivolta (di Collatino e Bruto) contro la Monarchia. Chissà.  


Ma questo busto è famoso da quando divenne una delle statue parlanti di Roma, con le sue scritte misteriose, sarcastiche e ironiche che mettevano in ridicolo i fatti della cronaca e del governo papalino.
Fu un archeologo, Antonio Muňoz, a determinare il suo nome perché, durante un inventario sulle antichità collezionate da papa Paolo II (1464-1471), accanto al busto trovò una scritta in latino “Donatum Dominae Lucretiae”, cioè donata a Madama Lucrezia (d'Alagno) favorita di Alfonso d'Aragona, re di Napoli, che all’epoca del reperto nel XV sec., viveva nella zona della Chiesa di San Marco. Dopo la sua morte, nel 1478, il popolo cominciò a chiamare il busto Madama Lucrezia e nelle feste popolari l'adornava con collane di aglio e cipolla, le ballava intorno e se ne serviva per prendere in giro poveracci, storpi o vecchi. Poi, Madama Lucrezia cominciò a parlare ai romani e poi smise. Ma il suo volto, consumato dal tempo e dallo smog, guarda ancora, sorridente o forse incredulo, la gente che continua a passarle davanti, ma non la vede, non ricorda e nemmeno saluta più.



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 Punti de Vista 



Uno, certe cose l'odora da lontano
n’antro deve guardalle in faccia
quarche d'uno je dà n’occhiataccia
E quecun'antro je mira er deretano.

Le guardeno tutti a ’na certa maniera
ma er sole, che splende de sera,
nun è quello che brilla de mattina.

Er sole gira, ma je gira intorno er mondo,
e quando la luce se scolora, nun combina
cor colore de'n pensiero vagabondo.

A mette' inzieme punti de vista differenti,
se  capirebbe mejo fatti, persone e eventi,
sempre che quarche gran  canaja
nun te spiega prima che lui nun se sbaja.



14 agosto 2016


"I punti di vista sono tutti importanti, perché cambiano e girano come il sole." 
E' una frase che ho letto da qualche parte e l'ho trovata molto interessante non per la sua ovvietà, ma per la "ovvia" riflessione sulla prospettiva che ne consegue.
Per poter comprendere in pieno ciò che stiamo guardando, bisogna chiedersi cosa sia, a cosa serva e perché - quell'oggetto, quella persona, quella situazione - si trovi o avvenga proprio in un certo posto, quindi bisogna osservare bene, ma da lontano, per inquadrare anche quello che, dai particolari-da-vicino, non potremmo mai conoscere. Per farsi un'idea esatta bisogna chiedersi  "cui prodest".
E dal nostro punto di vista possiamo avere solo una visione parziale, come parziale può essere il nostro occhio, confrontandoci con altri punti di vista la nostra ottica si allarga e possiamo cominciare ad inquadrare meglio il problema.  
Poi se cominceremo una discussione vedremo che i punti di vista personali, lentamente si evolvono, cambiano, si avvicinano ad uno e si allontanano da altri. Come la luce del sole che - illuminando lo stesso oggetto - cambia sfumatura, intensità e colori durante il giorno anche se proviene sempre dalla stessa sorgente e se l'oggetto resta immobile.
Poi, come sempre, ritornando alla realtà vediamo che il punto di vista vincente, molto spesso, è quello del più arrogante, del più vicino all'interpretazione più gradita dal potere. Quello che sarà accettato dalla maggioranza, e che quindi diventerà "legale", mentre tutti gli altri resteranno delle semplici opinioni.


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Razzolamo come ce pare     
                                             


Prova a trovamme Caio o Tizio
cor coraggio de dimme ch’è normale
si uno se vende un rene all’ospedale,
o si s’ammazza pe' lo sfizio der supplizio,

o che nun è reato aruba’ si è pe’ vizio.
Si semo d’accordo che nun è normale,
mettemese d’accordo sur senso de le parole.

Nun dovemo mica giocà a cojonella
e predicà bene, pe’ razzolà male,
razzolamo come ce pare, tale e quale
a come ce conviene pe’ fa communella

e onestamente decidemo che è normale,
continuà a crede a la solita storiella  
pe pià per culo, a chi penza a la Morale.

13 agosto 2016

Non è  mica facile capire cosa è normale e, anche quando si crede di averlo compreso, basta spostarsi di poco nello spazio o nel tempo che la normalità ha già cambiato colore e ... si è adeguata alle convenienze di chi ne può trarre maggior vantaggio. 
Una volta compreso che le belle parole servono da scudo a chi le usa - impropriamente - come armi per difendere i propri interessi, bisogna solo trovare un accordo che stabilisca che le parole, come la normalità, cambiano di significato in base all'uso, che ne fa chi se ne serve. Peccato, abbiamo perso anche questa certezza e diventa sempre più difficile riuscire ad esprimere le nostre idee, se chi dovrebbe intenderle ha dei parametri e dei preconcetti differenti dai nostri. O viceversa.

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La bona Misura 



Nun me pareva che per governo de’n paese
Se dovev’arivà a sceje tra’n par de facce appese,
e che uno se doveva convicese de crede
Che se sbajava, si  questa je pareva malafede.

Sia chiaro, che la democrazia è garantita,
e pure de libertà nun se po’ discute,
perché  c’è bona misura de  leggi ben cazzute
che serveno a sarvà chi gioca a sta partita.

C’è un fatto che però me lassa perplesso
Sarammai che tra mijoni de morammazzati
Nun se pònno trovà du belle facce da fesso?

Du’ cristi liberi, schietti e misurati,
co’ quarche dubbio su la fede e sur futuro,
e che nun vònno sbatte er grugno contr'ar muro?

10 agosto


Sembra impossibile credere che l'elettorato, in tutto il mondo, sia diviso in due fazioni. Sembra impossibile perché praticamente non esiste più un vero motivo per un conflitto tra partiti, per il semplice motivo che non esiste nessuna contrapposizione ideologica. Infatti l'unico fattore che permette di distinguere i partiti, che si contendono il potere, è la figura del leader: il capo che, con il suo carisma personale, tenta di lusingare – abbindolare (?) - le masse degli elettori. 
Dietro ai capi solo una folta schiera di vassalli, in attesa di ricevere, in caso di vittoria, il meritato corrispettivo per la fedeltà dimostrata. E' un sistema che ormai è uscito dal raggio di controllo dell'uomo e che è funzionale al sistema stesso che, vinca chi vinca, continuerà nel suo percorso, senza concedere spazi a dubbi o ideologie alternative. 
Non è difficile garantire un sistema elettorale democratico se si è in condizioni di orientare le modalità di scelta dei candidati e se si è capaci di controllarne i programmi, indirizzandoli dopo aver tracciato percorsi obbligati che chiunque, pena l'ostracismo di tutti i media, sarà costretto a seguire.


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L'Olimpiadi  




Ar  tempo der cuccù e dell’eroi
già faceveno l’Olimpiadi, come famo pure noi,
Così pe’n par de mesi, nun pensaveno a la  guerra
E co’ la “pax olimpica” se stava bona pure la suburra.

Pure allora c’aveveno coppe e  medaje
E, pure allora, se le spartiveno le mejo canaje,
co’ le mani zozze der sangue de  cento battaje.

Tanto che li Dei, dall’Olimpo, ce staveno attento
e  si baravi ar gioco o facevi l’ intrallazzi,
nun j’abbastava ditte ch’eri 'no scassa cazzi !
No … allora te faceveno fa’ un monumento.

E  su la pietra ce restava sempìterna na lezione:
“St’infamone qui, nun ha vinto ner cimento
perché, nun ve scordate mai, era un gran puzzone”.



9 agosto 2016

Mi è capitato di visitare gli scavi archeologici di Olimpia, pochi giorni prima che iniziassero le Olimpiadi di Rio 2016. In questi posti l'atmosfera che si respira forse è un po' falsata dalla suggestione dei miti che fin da bambini ci hanno sempre  affascinato, ma ogni volta che sentiamo parole che ci ricordano lo spirito che animava quasi 3000 anni fa, dei popoli molto meno sofisticati di noi, ci pare proprio che il mondo, se è cambiato, non ha seguito la sua logica evoluzione ma, anzi, ha dimenticato le proprie origini.
I giochi olimpici furono inventati con il pretesto di interrompere le tante piccole guerre che sono sempre servite a mantenere i popoli, o almeno la mente della gente, preoccupata per sentirsi minacciata. Ma non solo, i giochi a quei tempi, erano un motivo di rendere omaggio agli eroi-positivi, a quegli atleti cioè, capaci di dar prova di essere più nobili degli altri, sia per forza fisica che per l'esempio che costituivano nel rispettare l'uomo, l'onore e gli Dei.
Lungo il tunnel, del quale è rimasto solo un archetto, che costituiva l'accesso allo stadio di Olimpia, ancora oggi esiste un basamento sul quale furono erette le statue in pietra, che dovevano ricordare il nome degli atleti che erano stati cacciati dai giochi per disonore, per non aver agito con lealtà con i loro avversari e per non aver rispettato la legge divina. Le statue degli Eroi-negativi, degli Anti-eroi.

Oggi celebriamo le Olimpiadi, ma, dello spirito dell'antica Olimpia, abbiamo perso non solo l'esempio ma anche il ricordo.


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Un pizzico de sale



Bisogna stasse bene attenti
ar creato, a l’omini e a l’eventi
che si no, tutt’a un botto
er giocarello nostro, se lo trovamo rotto.

Ma er fatto che nun me so’ capacità
è come po’ sembracce normale
respirasse st’aria zeppa dell’ottusità
che strabocca da sto mondo animale

De la gente che magna senza sale
De la gente che vòcia, parla e dice
senza che manco je se smove ‘na cervice.

De la gente che nun vede, che nun sente,
che nun guarda ‘ndietro, e ch’acconsente
a vennese er futuro e a nun lassà  gnente.


3 agosto 2016



E' una banale riflessione sull'uso delle risorse "finite" che la terra ha sempre concesso in uso ai suoi abitanti, ma che ormai non sono più sufficienti ad alimentare un diabolico sistema che ha dimenticato i motivi per cui è stato inventato dall'uomo e che sviluppandosi abnormemente ha stravolto i propri obiettivi.  
Oggi al centro del sistema abbiamo il "denaro" che non è più un semplice mezzo di scambio ma che si è trasformato in una deità famelica che pretende essere alimentata, senza curarsi della vita e dei bisogni degli uomini e delle cose da cui quello stesso sistema è stato allevato. 
Quando le formule algebriche prendono il sopravvento perché chi le usa non conosce ormai più i motivi e i legami con le ragioni che hanno provocato lo sviluppo di quelle stesse formule, l'unico modo per mantenere dritta la rotta, sarebbe il ragionamento, sarebbe la verifica della rotta percorsa dal sistema. 
Ma  un ragionamento fine a se stesso potrebbe non essere funzionale agli interessi di chi può e vuole godere dei vantaggi personali che permette una rotta sbagliata. 
E il pensiero, se non si può zittire, si può facilmente manipolare, confondere e boicottare. 


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Occhi Farlocchi



Quanno sentiremo ch’è arivato
er gran momento de tirà er fiato
vedremo passàcce sotto all’occhi 
na fila d’omini, d’ombre e de farlocchi.

Omini de pensiero barbicato ner cervello
Come chi nessuno je chiedeva mai balzello

e che nun beveveno senza sapé  la fonte.

O quell’ombre sempre troppo evanescente,
come quanno cercaveno er busillo,
e che scappaveno via prima de trovallo.

I farlocchi invece ce credeveno pe' da vero
a chi je infiocchettava un ber penziero ...
sempre pronti a giurà d’esse d’accordo
co’ l’urtimo che se l’era caricati a bordo.


16 luglio 2016


Non serve nemmeno la TV oggi, basta un telefonino per trasmettere una notizia.
Una immagine cruda ma chiara, poche parole semplici e precise possono far conoscere un fatto che può essere successo, oppure no. Ma altrettanto facilmente potrebbe essere fiction, una menzogna. 

Così facendo una classificazione tra gli uomini  ( nulla a che vedere con quella nobilissima di Sciascia “Uomini, mezzi uomini, ominicchi ….”), gli occhi ricorderanno chi prima di credere, aveva cercato di capire, chi sapeva di poter essere ingannato ma non è stato capace di cercare la verità e chi ha evitato considerazioni personali condividendo, da subito, l’interpretazione del capo del momento. Magari sperando in qualche piccolo tornaconto.


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Perché l' Omo se sta zitto?


                                                                        
Solo ner nome de Dio Onnipotente
L’omo predica, profana e scanna
A chi nun vò capì e nun s’affanna
pe' corre' come un cane riverente.

Ma si ce fosse un Dio Creatore
se ricorderebbe de na certa settimana
e, cor dito dritto, raddrizzerebbe l’errore
d’ave’ dato er fiato, pe sta razza umana.

Ma chi l’ha detto, chi l’ha scritto
Er verbo, la cura o quer verzetto
che de sacro c’ha solo er coraggio  

de chi nun sa un cazzo e fa cazzeggio.
Ma se pò chiamà Giustizia sto diritto,
de chi comanna perché l' Omo se sta zitto?

15 luglio 2016


   La religione e le ideologie sono sempre state la causa, o meglio il pretesto, di qualsiasi guerra e tutto sommato, potremmo anche accettare una "lite" che avvenga per mantenere un principio. Ma stiamo parlando di un mondo che crede negli ideali e questo non è mai stato.
   Quello che però vedo come un vero oltraggio contro l'Uomo è l'uso improprio delle parole, delle idee millantate, delle ideologie predicate per "sentito dire". Le religioni sono sempre servite per intimorire l'uomo e per garantire il rispetto di certe regole minime di convivenza, imposte come Tabù e quindi rispettate per timore di una vendetta di un Dio Padrone di cui si accetta e non si discute l'autorità. 
   Ma le religioni come le ideologie non raccomandano  i comportamenti che - chi le interpreta - richiede ai suoi adepti.  Le parole dicono quello che può essere sempre smentito da altre parole e ormai vince chi ha i mezzi e la costanza di ripetere le stesse parole più volte. E chi ha più costanza e mezzi, in genere, è chi ha più soldi/potere e che parla per garantire - per sé o per i suoi sponsor - un vantaggio sugli avversari.  
   E, conoscendo come girano le rotelle del cervello, non è difficile far verificare certe situazioni e le spontanee reazioni che possano indurre le maggioranze a pensare nel modo in cui conviene che pensino.


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Er Ghetto  



Er sole se spegne su tutto sto vòto
e quanno nun c’è più un fil de luce
l’anima cor cervello nun se dà pace
e la capoccia vola, e parte pe’ l’ignoto.

Manco la pena de guardàsse 'ntorno.  
De chi ce sta, nun te ne frega gnente,
Te pare  che nun campi ner presente
e nun t’accorgi de quanno se fa giorno.

Le vòi fa vede, come medaje in petto,
ste pene tue, fanatiche e segrete,
che luccicheno tutte, senza dà er sospetto

che ner dolore te ce sei accomodato,
che te senti ar sicuro, dentr’a sto ghetto
e che a ripià fiato, te pare un peccato.


14 lug. 2016



Solo chi ha avuto la fortuna e la forza di uscire dal vortice della depressione potrà comprendere lo stato d'animo di chi vive questo dramma e questa malattia, sentendosi lontano dal mondo intero ed estraneo a tutto e tutti.  Quando si è  caduti in depressione non basta convivere con il senso di estrema inadeguatezza che si prova, in qualsiasi situazione e con qualsiasi persona, non basta non saper trovare la forza e la volontà per riprendere in mano la propria vita. 


Si deve combattere anche contro un nemico che nasce nell'intimo più profondo, si deve combattere contro l'ansia e la smania di abbandonare ogni resistenza ed adagiarsi in uno stato di falso "nirvana", dove non si raggiunge un superamento del dolore, ma si accetta di convivere con il dolore stesso, diventandone schiavo e preferendo continuare a vivere in uno stato di "ignavia assoluta", piuttosto che cercare la forza per affrontare la fatica di confrontarsi nuovamente con quel mondo che ogni giorno diventa più estraneo e ostile.


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Ma che peccato!



Ma che peccato!
A ripensacce bene, me sarò sbajato
Ma co’ tanti cazzi che ce stanno su la terra
Po’ pure capità che ce scappa ‘na guerra

Eppoi si uno lavora, sbaja 
C’è quanno uno ce pia, e quanno fa cilecca,
È chi nun lavora, che nun c’ azzecca,
che nun move er culo, e che zagaja.

Ma co’ tutte le carte che c’avevo davanti
Me sarò impicciato e l’ho detto pure,
è poi a me, me chiamaveno in tanti:

capi, mezzi capi, capetti e mezze figure
a da li resti a tutti, uno ce perde er sonno
eppoi,  pe ‘na guerra, nun finisce er monno … 


8 luglio 2016

Definirei questo sonetto "una libera traduzione" delle recenti dichiarazioni di Tony Blair.
Un paio di giorni fa è stato pubblicato un certo rapporto che fa luce sugli errori di valutazione fatti dal governo inglese prima di entrare in guerra contro l'Iraq dal 2001 al 2009. Il PM inglese dell'epoca, Tony Blair, da buon politico fece le scelte più convenienti per partecipare al gioco che si stava giocando all'epoca. 
Ha trasmesso informazioni false create ad arte dai servizi segreti, ingigantendo la pericolosità delle minacce che provenivano dall' Iraq, ha preso accordi più o meno segreti con governanti di altri paesi ed ha dichiarato ai sudditi di Sua Maestà ed al mondo intero che l'intervento dei soldati inglesi sarebbe servito a portare la pace e a ridurre la minaccia di attacchi terroristici. 
Quella guerra ha prodotto 1 milione di profughi oltre a 150.000 morti, il tutto per un "errore di valutazione" come è stato definito, in prima analisi, questo vero massacro e crimine di guerra premeditato. 
Ma in fondo non credo che ci siano state guerre che possono essere considerate giuste e che abbiano portato pace e benessere ai popoli, sia sconfitti che vincitori, mentre chi arma e incita i massacratori continuiamo ad ossequiarli .... "Eccellenza"  " Onorevole"  " Presidente".


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Con Licenza



Pare ch’a parlà so’ tutti boni,
Le verità di Pulcinella
e pure a chi nun s’aritrova quer gingillo
che ricollega le parole cor cervello
je se dà voce, pe’ cojona’ i fregnoni.

Come quanno uno dice de intravedere
Quarche cosa, indove j’hanno detto de guardare,
e, si dice, che c’ha ‘na mezza impressione,
basta dije, un par de vorte, che nun è n’illusione.

Daje e ridaje ‘r seguito se trova
e chi nun ce crede,  c’avrà pazienza,
sempre però, che nun vò rompe l’ova

a chi, pure che dice quarche fregnaccia,
nun po’ certo perdece la  faccia, 
pe’ sta’ a da'retta a chi .... nun c’ha licenza.


5 luglio 2016


Poche rime piene di rabbia per l'impotenza di non poter usare gli stessi strumenti o lo stesso tono di voce che usa chiunque voglia, o possa - senza altra giustificazione che non la propria ambizione - imporre la propria volontà su chi è meno facoltoso o è stato educato al rispetto di sani principi morali. 
Noncurante delle leggi, della giustizia o dell'evidenza delle cose, grazie ad una sicurezza di superiorità psicologica, costruita sulla base della conoscenza degli infallibili meccanismi mentali, non è difficile calpestare la dignità di chi non sa, non può o che pretende di non accettare un gioco senza regole da giocare ad un tavolo dove siedono solo avversari mascherati.
È il gioco del potere dove vince solo chi sta dalla parte del più forte, con o senza ragione, ma questo è un dettaglio che qualche volta anzi può servire a giustificare le angherie e i soprusi che, a questo gioco, sono tutti permessi, sempre a spese di chi, per caso o per scelta, non sta dalla parte giusta, o meglio ..... non ha licenza.

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I Santi Protettori


Sarà pe’ ‘na fame antica e pe’ bisogno     
ch’a Roma ce stanno sempre du’ padroni,
O pe’ l’abbitudine de sta’ giù a pecoroni,
che chi comanna ce po’ tené sotto er carcagno.

Presempio, mo’, cor fatto ch’ar Campidojo
nun se capisce chi stà a capo der Consijo
co’ l’assessori è successo un gran bordello
co’ li fochi, li Santi e cor Castello.

Perché la notte de li Santi protettori
l’Angelo se confonneva tra luci, fumi e fochi
e er cielo riluceva de comete, de stelle e de colori

Però st’anno se so’ visti poco, e de’ sguincio,
perché, invece ch’a Castello, sti grann’allocchi,
so’ annati a  sparà li fochi su per Pincio.

30 giugno 2016


Il 29 giugno a Roma si festeggianno i Santi Pietro e Paolo e, da sempre, ai lati di Castel Sant'Angelo si sparano i fuochi d'artificio e il popolo accorre per passare una serata diverso e all'aria aperta sulle rive del Tevere.  E' una tradizione molto antica che quest'anno però è stata stravolta dal Comune che ha preferito cambiare "location" e spostare la festa a Piazza del Popolo per sparare i fuochi dal Colle del Pincio.  Forse sarà stato per le tante incertezze create dalle congiure di palazzo che hanno prima cacciato il Sindaco, poi hanno scoperto che a Roma si ruba, poi hanno commissariato il Comune e ancora non si è insediata la nuova Sindaca.   " A Roma Iddio nunè trino, è quatrino" dice un vecchio detto, ma forse questo con i fuochi del 29 giugno 2016 non c'entra affatto. 
Tutto bene,, comunque, la festa c'è stata lo stesso e il popolo e i turisti ne sono stati contenti. Forse, però, l'Angelo di Castello si sarà sentito un pò abbandonato e forse San Pietro e San Paolo saranno arrivati in ritardo alla cerimonia, dopo essersi persi nei vicoli di Campo Marzio, prima di capire da che parte arrivavano i botti, quest'anno.  
Chissà se è vero che le tradizioni è più facile tradirle che abrogarle. 


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Na Minestra Riscallata

Io ero n’omo de sinistra.
Io ero tanto de sinistra
Che manco pe’ magnamme la minestra
C’avevo er cucchiaro a destra

Mo’ però co’ sta politic’azzardata,
mo’ che li sordi l’hanno visti ar centro,
a forza de mischialla e de guardacce dentro
a me sta minestra me s’è raffreddata.

Dice che 'na minestra calla a mezza botta,
se digerisce prima e va giù mejo
e che co' l'ojetto e cor sale è assai più jiotta.

Però, a me me piaceva bella calla,
e si scottava, ce soffiavo cor ventajo ......

Ma quanno c’aripenzo, io continuo a riggiralla.


24 giugno 2016

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I Numeri



E' sempre ‘na gran caciara,
e … si è poco nun serv’ a n’accidente
e … si è troppo nun ce se capisce ‘gnente
Ma i numeri inzieme te soneno la fanfara.

Te fanno capì da che parte tira er vento,
chi ce l’ha dietro e chi je core accanto,
chi se la tira e chi fa combutta,
ndo se rubba e chi ce la mette tutta.

Certo ch’a fa li conti nun so’ boni in tanti,
perché sto gioco nun è com'all’osteria  
che l’ori s’ammucchieno co’ cavalli e co' li fanti

qui i numeri  veri passeno in cavalleria,
a quelli farlocchi, je se da ‘na bella mischiata
e poi .... cor resto ce se fa na gran magnata.

23 giugno  2016


Quando vediamo una conchiglia in fondo al mare, insieme a qualche corallo, a qualche alga colorata e al movimento della sabbia che accarezza e vela le immagini, abbiamo una visione di insieme che ci fa sentire la bellezza della natura con le sue forme che si integrano e che ci lanciano un messaggio di libertà. 
Così spinti dalla bramosia ci tuffiamo fino a toccare con mano quella bellezza che abbiamo negli occhi e proviamo a rubare un rametto di corallo o se siamo fortunati a portarci via quella conchiglia che ci ha ammaliato con la perfezione della sua spirale. Poi ricchi dei nostri piccoli trofei, torniamo a casa, sicuri di esserci impossessati di almeno un pezzetto di quella bellezza che ci aveva regalato tanta serenità, tanto appagamento li, in fondo al mare tra la sabbia e le correnti del mare. 
A casa ripuliamo bene la conchiglia con tanta cura e attenzione per non rovinare niente della sua bellezza ma, man mano che le incrostature di alghe, che la nascondevano, ce la mostrano nella sua nudità, vediamo che è piena di imperfezioni, che è scheggiata, che il suo vero colore è sbiadito, che non è quello splendore che era apparso nel riverbero della luce del sole sul fondo del mare.
E la stessa cosa accade ogni volta che leggiamo i numeri. Numeri, che sono freddi e non hanno nessuna bellezza e nessun significato se andiamo a guardarli solo per quello che può mostrare un semplice calcolo o una equazione isolata dal resto del conto grosso. La bellezza e il messaggio dei Numeri, come quello della Natura, lo troviamo solo se guardiamo tutto il sistema, da lontano, senza accontentarci dei particolari, senza dar retta a chi vorrebbe annebbiarci la vista, regalandoci un rametto di corallo chiuso dentro una elegante scatoletta confezionata da una importante gioielleria del centro. 
Se accettiamo questo gioco e ci formiamo le nostre convinzione, le nostre idee solo da quel  "pezzetto che abbiamo in mano", continueremo a non comprendere cosa è il vero dono e cos'è la bellezza della Natura, a non comprendere che qualcuno la sta nascondendo per distrarre l'attenzione dalle cose vere e per manipolare i sensi delle persone che guardando alle piccole cose, credono ancora che siano una testimonianza di qualcosa di molto più grande e complesso, ma che ormai vive solo nel loro immaginario.
Si perde tanto tempo a rispondere alle provocazioni di chi ci chiede di controllare due volte il conto della spesa e non ne resta per controllare che  il valore dei soldi sta cambiando e che l'uomo e la natura non sono più gli stessi che ci avevano insegnato a conoscere.


A Roma si dice "Buttamola in caciara", così tra una battuta e l'altra ci si distrae dai problemi veri, il tempo passa e nessuno si ricorda più che le conchiglie in fondo al mare stanno per finire.

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Sonetto





Nun è detto ch’er sonetto
se fa scrive dritto e schietto
e nun è …. che tutt’a’n botto,
na terzina te sarta sù dar petto.

Er sonetto è un ber giochetto,
ch’ a me me serve da “caretto”
tanto largo, arto e stretto,
quanto basta da portà er pacchetto.

E si nun c'entra ner caretto
vor dì che nun funziona, sto sonetto.
E’ ‘n diletto che nun vòle difetto.

Je serve er tempo esatto
la rima, er tono e er cinguetto
si no, ce trovi la magagna ... ner versetto.


18 giugno 2016


Il sonetto composto da due quartine e due terzine è una forma di scrittura che risale al tredicesimo secolo ed ha origini siciliane. E' sempre stato un modo di esprimersi molto usato, perché stimola la sintesi e l'organizzazione mentale e permette anche a chi non ha particolari abilità linguistiche di confrontarsi con i propri limiti.  
E' un "giochetto" che permette all'autore di sapere subito chi ha vinto, anche se a volte l'incoscienza o la vanità lasciano che vengano rese pubbliche anche delle quartine zoppe o delle terzine sbilenche.   





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Miraggio




Bisogna stare bene attenti
a la natura e a l’eventi
che come te movi, tutt’a un botto,
er giochetto già s’è rotto.

Na vorta se guardàva ‘r cielo
E se penzàva, prima de pià er volo.
Poi, si uno nun ce piava, poco male,
mica poteva esse sempre carnevale.

Mò, a vede uno che guarda per aria,
già ce pìa a tutti na specie d’orticaria,
… nun fa vede quello che fai, po’ nun esse saggio,

ma fa vede che stai a penzà, è peggi’ancora
Perché si è er cervello che lavora

se pònno crede che c’hai quarche miraggio!


12 giugno 2016


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L' Ombra


Co’ ste divise senza manco un fregno
so’ svanite pure l’urtime tracce dell’abbajio   
de un passato che nun ha lasciato segno.

C’è rimasto solo un penziero scancellato,
n’onda che se spiccica su lo scojo,
‘na cicatrice de un tempo annato.

Quell’occhi che sprizzaveno er vanto
de na regazzina che nun je pareva vero
de sentisse un core tanto leggero
dentr’an vestito, giusto come un guanto …

er gusto d’esse un pezzo de n’ icona …
l’orgojio arto come no stendardo …
so’ ardori sbolliti, so’ cosette alla bona,

pe’ chi se po’ venne l'ombra de'n ricordo.



8 giugno 2016

Non ho mai amato i toni sdolcinati di chi si perde nel ricordo di un passato, forse glorioso solo ai suoi occhi, e spero che la vena di tristezza che traspare da queste righe venga intesa solo per quello che è: una critica personale e probabilmente ingiustificata e parziale. 
Non mi è piaciuta la scelta delle nuove uniformi del personale di Alitalia, perché non ho visto né la scelta dei colori, né un connotato di italianità nell'immagine di quella che ormai è una compagnia aerea che ha perso i propri legami con un paese e con un popolo per trasformarsi in un'azienda senza natali che - speriamo - possa produrre degli utili, anche se, proprio per mancanza di natali, non deve più badare a dove e su chi ricadranno i costi reali. 
Io ho avuto la fortuna di conoscere delle Persone che, per decenni, sono state delle sincere e fedeli amanti di quell' antica compagnia. Persone che sono state fiere di servire come soldati sempre in prima linea, molti erano emigranti o figli di emigranti e nel loro lavoro realizzavano quello che sentivano essere un dovere verso una terra che non ricordava nemmeno più la loro esistenza.
Si sentivamo parte di qualcosa più grande di loro, ne erano coscienti e riconoscenti per poter indossare le loro belle uniformi che portavano  con orgoglio. Quello stesso orgoglio che traspariva dai loro occhi ogni volta che, con gli amici, parlavano del proprio lavoro. 
Ma forse questa non è nemmeno una critica, ma solo un perdermi in pensieri lontani che mi fa sembrare quasi un tradimento l'uso di un nome che ha cancellato brutalmente il suo passato.


Le Nuove divise di Alitalia


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Er Progresso



A me, me pare chiaro er concetto                       
Photo by  www.inghisto.com

che, si volemo parlà de progresso,
er cervello nun deve annà all’ammasso
e co’ li sordi nun ce se va a braccetto.

E allora se dovemo mette d’accordo
pe’ sceje er percorzo der traggitto    
e ‘ndo volemo mettece er traguardo.

Se parte sempre dar popolo  soprano
che, come gira gira, se la pia dritto
ner posto che nun je piace all’ortolano.

E pare pure che la strada der progresso
Nun è in discesa, ma va su in montagna.
Eppoi succede che ce se sbaja spesso,
e mentre conti li sordi, nun vedi chi nun magna.



7 giugno 2016

Il solito gioco di parole che cerca di far credere alla gente che si debba chiamare "progresso" qualsiasi cambiamento, mentre invece si tratta - sempre più spesso - di semplici e meschine strategie commerciali.  
Per progresso ci piacerebbe intendere una qualità della vita soddisfacente, il rispetto reciproco, una tecnologia usata per creare tempo libero e la possibilità di pensare senza le interferenze di una latente presenza di forze di convincimento di massa, messe in atto da un mix tossico di media, controllato da chi "mentre sta contando i soldi, non vede chi non mangia". 
Per progresso sarebbe bello intendere una programmazione del futuro armonica e in sintonia con gli esseri che hanno vissuto e che vivranno dopo di noi, su questa terra.  In fondo è quello che pensa la quasi totalità degli uomini, anche se le loro voci sono meno di un sussurro.
Questo è calcoletto fatto lo scorso anno elaborando i dati ufficiali europei (htpp//europa.eu) .... SEI miliardi di persone vivono con meno di 10 dollari al giorno. NOI saremmo in quel 2% che campa senza pensare come arrivare al mese prossimo, ..... Chi si gode tutto il resto sono CENTOMILA persone in tutto il mondo. Lira più, lira meno.



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Nun semo tutti uguali



A sto monno c’è posto pe’ tutto
Ommini, bestie, amore e rancore
Ma siccome lo spazzio è stretto
Si se nasce, se cresce e …. se more.

Però n’arbero, n’omo o ‘n sentimento,
si ce stanno .... nun se po' sape' pe' quanto,
e nun c’è  cristo,  diavolo o  saggio
che sa come e quanno je finisce er viaggio.

Ecco, me chiedo, ma è modo questo
de lascià la gente in mano a la sorte?
Nun me pare un sistema giusto e onesto ….

E si ne la vita, de certo, c’è solo la morte,
Come se spiega che semo tutti uguali,
si poi dovemo campà in mezz’a sti squali?


6 giugno 2016



La solita amarezza che provoca il dover ascoltare le parole impropriamente usate da chi si permette di predicare bene, pur di poter continuare a razzolare male. Come se i valori temporali, quelli effimeri di un benessere “ad ore” fossero capaci di sovrapporsi e di far dimenticare che la vita è soggetta a certe regole da cui nessun essere umano potrà mai affrancarsi. Lo faranno forse le macchine, ma non ci riguarda.




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Na cosa normale

                                                                            

Nun so da quanno  me domando
Er com’ha da esse na cosa normale.
Si, perché a sto zozzo mondo
Er metro nun è più tale e quale.

E quello che pe’ quarcuno è sacrosanto,
pure ch’è vero, “nun ce conviene tanto”.
Cosicché 'r governo po' fa n’antra cosa
e parla de n’antra, ancora più cazziosa.

Però ar momento de l’elezzioni
se ricordeno  sempre quanto serve la morale
perché a parla’ così, so’ tutti boni.

E  mentre ce giureno che “è tutto normale”
co’ na mano carezzeno n’ animale
e co’ quell’artra scanneno li cristiani.


4 giugno 2016


E' incredibile la rabbia che genera la lettura e l'ascolto di certe notizie che mostrano la faccia buona e vuota di espressione di politici e pseudo-intellettuali che vivono fuori dal mondo e parlano dell'uomo, della solidarietà e dei principi morali - con termini, spesso per ignoranza o per confondere, espressi in lingue straniere - che animano le loro scelte politiche e sociali. 
Poi, accanto o subito dopo, la notizia che il governo o le commissioni composte dalle stesse persone, hanno firmato documento per la vendita di armi a assassini e nemici e che avallano o autorizzano guerre e bombardamenti fatti da macchine e droni che ammazzano impunemente, a nostro nome, gente che - come noi - sta leggendo o ascoltando inconsapevole - notizie altre notizie false e manipolate ad arte.  
Ma è tutto normale.


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Una Nuvola d'Autunno



Sordi, titoli e guadagno
conteno davero si campi dentr'a'n sogno.
Ma si solo te riggiri, poco poco,
da lontano senti er lamento

de quell’attimo che nun hai fermato
der presente ch’è già passato.

E’ che la rota,  gira a tondo
e gnente se sta fermo a sto mondo.

La nuvola ner cielo core,
quanno d’autunno cambia colore
e s’intorcina, gravida e piena.

Poi de botto tira giù ‘na burasca
che se porta via ogni paja lasca.

E poi, domani tutto se rasserena.


3 giugno 2016

La nostra vita su questa terra è solo un rapido passaggio, come quello di una nuvola d'autunno, come i nostri anni di vita che sono come un lampo nel cielo del tempo. Come l'acqua di un torrente che corre veloce, rumorosa, travolgente e irruenta, dall'alto della montagna, per perdersi poi, improvvisamente in un mare immenso.




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L'Articolo 36


Quanno diceveno che la Costituzzione
der popolo italiano era ‘na "cosa bella"
ce sarà stata quarch’annotazzione
Per cui, la quale …. doveveno serviccela calla.

Pare che, pe’ sbajo, c’aveveno scritto
parole come lavoro, dignità e rispetto,
tutta robba ch’ar giorno d’oggi impiccia,
e – sarvognuno -  nun dev’arivà finn ’n saccoccia.

Er fatto che nobbilita n’omo che lavora 
Nun deveno esse li sordi de ‘na paga miserella 
ma er gusto d'esse uno che lavora … a la bonora!

Certo ch'ormai, l'omini se ponno paghà a cojonella
Tanto come in tutte le favole che finischeno bene 
a lamentasse, de sti tempi,  manco je conviene.


Roma 2 giugno 2016


Articolo 36 della Costituzione Italiana


Come d’uso in tutte le aziende, se le cose non funzionano come dovrebbero, si ricorre agli “espertoni” che spiegano dall’alto della loro cattedra, che si devono cambiare le regole.  Meglio cambiare le regole che dover riconoscere che applicare alla lettera quelle che già esistono darebbe troppo fastidio a chi non vuole che cambino gli equilibri sociali.

“Bisogna che tutto cambi, perché nulla cambi” diceva il Gattopardo, quasi due secoli fa.


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Nessuno ce Penzava


Nun ce volevo crede
Che era tutto finto
Che la strada era tutta ‘n labirinto
E che ‘n fiore vero nun se poteva vede.

Leggi e aggeggi batteveno er passo
E l’ommini j’annaveno appresso.
A penzà nessuno ce penzava
E nessunofermava sta  corente.

Quello che stava ‘ndietro spigneva
a quello davanti, ch’era più prepotente
la smania, l'anzia, la carca de la folla ….

Un callo da svejamme pe' la sudarella
impastato de sonno, de stizza e cor dubbio
Che ….  - quasi, quasi - ancora me c’arabbio.


25 maggio 2016



E' la sensazione di assoluta impotenza che si prova - come succede a volte durante un incubo notturno - quando si è costretti a seguire una strada che termina in un baratro, quando, guardandosi attorno, si trovano solo volti di persone affaccendate nelle loro cose quotidiane, mentre percorrono una strada che potrà solo rendere inutili tutti i loro sforzi, il loro affaccendamento di tutti i giorni. 




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Er Rimarolo Strabbico    

















Ner monno che tutti sanno tutto
e che nisuno ce capisce 'gnente,
io me so trovato 'no spazzietto,
così, tanto pe' tené sveja la mente.

Certo nun è che je piace a tanta gente
senti quello che dice un rimarolo
si parla de vizzi e de puzza der potente,
ma armeno me pare d'esse' meno solo

ner credere ch'è mejo penzare
che nun penzare, ch'è mejo credere
de sapere, senz'avere prima capito.

Così dar podio che me so' costruito,
aringo er popolo che sta giù ner giadinetto
e pure si me sente ... nun capisce er dialetto. 


26 maggio, 2016


L'impossibilità di tacere - almeno a se stessi - e l'incapacità di comunicare e condividere le proprie sensazioni, i propri timori, le proprie aspettative in un mondo in cui si vuole che chiunque prenda una posizione, che si schieri - anzi che creda sulla fiducia - con una delle parti contendenti. 
M'era piaciuta la parola "rimarolo" usata da Giggi Proietti, per definire sé e tutti quelli che giocano con il dialetto romanesco e l'ho presa come pretesto per una riflessione  sulla "Audience" in cui si può pescare se, all'origine, si usa un linguaggio che tende a selezionare, escludendo. La parola "strabico"  invece serve per indicare i pochi che potranno seguire il rimarolo e che saranno ovviamente una risicata minoranza. 
Ma tanto, a noi, " ce piace la nicchia" (altra citazione).

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L'equilibrista

De sta vita mia balorda
Io me sento soddisfatto,
Nun è che so distratto
è che a me, me piace cambià corda.

Io me sento tanto fortunato,
certo me tocca regge la porta aperta
p'aspettà che passa tutta la scorta
e poiogni vorta, me tocca stà piegato.

Ma io c’ho la memoria corta,
e quanno me scordo, sto mejo in equilibrio
sur filo ce so camminà senza manubrio.

Io penzo poco e nun m’importa.
Io m’arampico su pe’ l’ideale,
e nun m’impiccio mai co' la morale.



25 maggio 2016


Volevo parlare di un equilibrista, di quanto sia difficile la vita e di quanto, a volte, si sia costretti ad arrangiarsi per andare avanti. Poi leggendo qua e là, e sentendo la gente che parla ho capito che gli equilibristi - quelli veri - ormai rischiano molto poco, perché non serve più stare in equilibrio per avere successo, basta adeguarsi, senza dirlo a nessuno.
E chi non è capace di trovare l'equilibrio "giusto" spesso casca, e se fa male.
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Bubbu ? Tettete !!






Bubbu ? Tettete !!  Era Nonna  
Che giocava cor regazzino
E faceva capolino
Dietr’ar pizzo de la gonna.

Er pupo sbatteva l’occhietto,
e se nisconneva co’ la bavarola
pe faje vede che a ’sto giochetto
lo poteveno fregà na vorta sola.

Nonn’annava  in giuggiole
pe’ sto fijo  tanto accorto
e nun j’abbastaveno parole

pe’ riccontà che, si st’ometto,
è già bono a sgamaje ‘no scherzetto,
vojo vede chi sarà bono a faje un torto.







24 maggio 2016


Queste poche righe non le dedico solo a mia madre e mio figlio, ma anche agli amici e soprattutto alle amiche, che in questi ultimi tempi hanno visto le loro attenzioni irrimediabilmente monopolizzate da nuovi affetti, da nuova voglia di vivere e da belle speranze per il futuro. 
A tutte e a tutti auguri di eterna giovinezza dello spirito. 

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Disincanto


Te se piazza sur groppone
Giusto, giusto  ner momento
Quann’er còre nun dà conto
E nun vo’ sentì raggione

Nun c’ha senso er disincanto
.... ché te rosica er sentimento,
è .... un penziero scriteriato
de n’ cervello strangolato.

.... Se chiude, come un portale,
Er Disinganno, pe’ nun cede
sur giudizzio e la morale,

quanno che uno nun pò più crede
a la vera farzità legale
de 'na verità che nun se vede.

4 mag. 2016


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Lorzignori !



Nun lassamòli stà a ‘sti “Superiòri”
fiji de ‘na sèrva svergognàta 
e de magnàccia pièni de rancòri,
.... ce l’hanno messi pe' fòtte la vorgàta. 

Nun lassàmoli giocà a sti pupàzzi,
che ce pònno scacazzà su l’onore
e poi schiacciàcce come bacheròzzi
Si je serve de 'ngraziàsse a Lorzignore.

A forza de fregàcce de straforo
e de dà tanto a pochi, e poco a tanti , 
Se lo so’ mparati bene a fa’r lavòro

de stuprà li cristiani, pe’rispettà li santi.
Me sa tanto che decenza e che decoro
de sti tempi  nun so’ robba pe’ credenti ….



19 apr. 2016

C'è chi lo definisce qualunquismo, questo modo elementare di manifestare le proprie critiche a un sistema che non funziona e che non si condivide. In Italia e purtroppo - mi sembra di comprendere - un po' ovunque la gente ama far sapere al mondo che anche se manipolata dal prossimo e dai media, sa bene chi siano quelli che la stanno sfruttando. 
Con internet poi, ormai siamo diventati tutti esperti, scrittori e tuttologi  e possiamo assaporare il  piacere di parlare e di sentirci parlare ....  e poi basta. Qualsiasi presa di posizione di chi prova a reagire a una società sempre più chiusa e individualista,  è ogni giorno più difficile da spiegare, improvvisamente tutto diventa nebuloso e si confonde con il proprio contrario:  a Roma si dice che la “buttano in caciara” così tutto finisce, prima di cominciare.  Quasi come se fossimo tutti Ladri, Collusi, Truffatori e contemporaneamente Santi, Galantuomini e Sapienti.
E vince sempre l’ indolenza, la pigrizia, l’ottusità e un sano egoismo esasperato nel quale ci si rinchiude sempre più frequentemente, lasciando spazio a chi il disinteresse generale  sa bene come “tesaurizzarlo”  e che sulle sventure - casuali o provocate - sa bene come vivere e prosperare senza rimorsi.


Colosseo a fine 800




















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 Pasta e Facioli


Si vòi che Pasta e facioli sòna
prima metti a mollo li  Borlotti 
e pòi li fai bollì pe’ n’ora bona.

Er prociutto lo fai a tocchetti
e lo sfrigoli in padella
cor peperoncino e la cipolla.
E  si nun scrocchia: aspetti.

Mischia li facioli cor soffritto,
arza er foco e daje bollore.
Appena ch’er brodo s’è ristretto,
assaggia  come sta de sapore.

Mettece er cannolicchietto,
e pe’ magnatte na cosa speciale:
Nun te scorda’ mai er sale.

10 marzo 2016
Qualche Chef, nel leggere la ricetta, arriccerà il naso!  Certo il prosciutto non è una scelta ortodossa, sarebbe stato più tradizionale usare pancetta o guanciale. Ebbene, a parte la difficoltà a trovare un buon guanciale magro, stagionato e non affumicato, a me piace tagliare a tocchetti un bel gambuccio magro di prosciutto ben stagionato, meglio ancora quando trovo il culetto del prosciutto di montagna, quello che si taglia a mano.

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'Gnoranza docet

C’avessi er convincimento
che sti mor’ammazzati
dentr’ar Parlamento
nun ce se so’n'filati,

ma che so la mejo scerta
pe' chi ce l’ha mannati,
sarebbe cosa certa
che "Noi" se semo sbajati.

E c'ho pure er sospetto
che nun so' boni a legge,
pe’ quer brutto vizietto

de nun capì er dettato
e de nun sapè coregge,
manch'er fojetto che j'è arivato.

28 feb. 2016



La recente pessima abitudine dei parlamentari che emanano le leggi direttamente con le stesse parole in cui ricevono la minuta che devono solo approvare, anche quando è ancora scritta in inglese e non riescono nemmeno a pronunciare le parole che spiegano il contenuto della stessa legge per cui si sono battuti, in nome del popolo sovrano! 


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Lo Scrigno        




Incanta come no scrigno
sta coppa che profuma de’ fiori
Co’ quer colore sanguigno
de l’ aranci rossi e amari,

Co’ le spine che puncicheno
com’ er gusto agro de l’estati,
quelle dell’anni che passeno
quelle co’i ricordi sbavati.

M’imbevo de l’odore dell’arancio
rosso, gajardo e stuzzichino,             
e  me pare d’esse’ troppo sconcio  

si je strappo coccia e pelle
a sto frutto zuccherino

cor sapore de le stelle.



2 Feb. 2016

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Arco di Tito a fine 800


L’amatriciana


Nun date retta a chi ce metterebbe l’ajo,              
er sugo a la matriciana se cucina
cor guancial­_e_co' la cipolla tajata fina,
che se frigge e se riggira cor cucchiajo.

Indora la padella co’ l’ojo verginello
poi ce sfragni dentro un peperoncino,
un pizzico de sale e un fil de vino:
così, er guanciale, se fa scrocchiarello.

Taja i pommidori  ma lasceje la pelle
e,  cor guanciale, falli inzaporì in padella,
Poi quanno la pila co' l’acqua  bolle
er bucatino  cocelo ar dente pe' da vero.


Si ce metti e'r pecorino e ce fai  'na romanella,
pe' l'amatriciana  .... nun c'hai più mistero!

28 gen. 2016

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L'accidente


Se sentimo forti si parlamo de morale    
E si trovamo ‘na parol’ acchiapparella,    
Ce ricamamo sopra  ‘na storiella …
E ce sapeno di’ messa, come’n cardinale.

Con ber tono strafottente
ce piace fa’ er maestro
parlà  de fuffa e dasse lustro.
Tanto poi nisuno se ricorda gnente

E pare che parlamo co’ cognizione.
Che conoscemo bene er fragnente
e co la fuffa ce quadramo  l’equazzione

che dice che "la morale viggente
s’ha da difenne quanno famo la divisione,

si no, sta morale è solo n’accidente".

26 gen. 2016





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Porpettine de pesce







Prima de mette i filetti de pesce ar forno
l’hai spinati e rifilati torno, torno.
Si  hai fatto ‘na cosa fina, co quello c’avanza
Te c’esce fori ‘na cosetta de sostanza.

Pia la ciccia ritajata e levece le spine,     
Erbetta e no spicchio d’ajo li taji fine, fine.
Ce metti n’ovo, er sale e un po’ de pane sfatto   
Poi ce gratti sopra er pecorino e frulli tutto.

Con cucchiaro ce fai giusto na porpettina,
impastela, bella soda e passela in farina.
Co’ l’ojo bono se friggeno  ch’e un piacere,  

e, si nun s’attaccheno, piéno ’n’odore  
che, prima che fai er piatto, già finisce.
Piaceno a tutti ste porpettine de pesce!   

23 gen. 2016 




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Baccalà Romano







Dev’esse’ bello arto er baccalà salato,
e si lo trovi, secco è mejo de quello ammollato,
sincerete che nun c’abbi n’odoraccio
e faje levà er troppo sale co ‘no straccio.

Leveje la pelle, sotto l’acqua der rubbinetto    
E sfilettelo sur battilardo con tajo netto.
Tocca lasciallo  un par de notti a mollo

pe’ faje pià un ber sapore stuzzicarello.
Accenni er forno e cocelo a pezzi, senz'odori,
e mettece pure na tiella de patate a tocchi.

Peperoncino, cipolla, ajo e pomidori,
con filo d’ojo, fanno un sughetto coi fiocchi,
poi, ce butti dentro pignoli, patate e baccalà,
sfrigoli tutto cor vino e magni come pascià.

mar. 19 gen. 2016


Qualche sera fa sono andato a cena al ghetto e ho rubato una ricetta. 



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Lo stato de diritto



Quanto è bella la storiella de n 'Europa poverella
che se dole e che se lagna p’er fastidio e pe’ le sorti
de chi more e che s’ammazza, e nun pesa mai li torti
de chi invece co’ li morti, se la gioca a cojonella.

Chi, ‘na vorta, era servo de' chi comanna,
è libbero ....  d'annà appresso a chi l’inganna,
e si - mò - nun j'aggrada sto stato e ste maniere,
è "padrone" – sempre che nun disturba  er superiore-.

Certo che si, quanno che s’assetteno su lo scranno,
già je se legge in faccia da che parte stanno,
nun coremo er rischio de guastà 'sto stato de diritto.

Ma se sà, che a quelli sveji e intelliggenti
nun je conviè stonà co' quell'artri delinguenti.

E poi pure che uno strilla, è come si se stasse zitto.

6 gen. 2016


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Er fresco de la sera









Quann’abbitavamo all’Arberone,
l’estate pe' pià er fresco de la sera
se metteva na sedia sott'ar portone
e se faceveno du' chiacchiere co’ la portiera.
L’ommini se ne staveno a sede sur barcone
e in santa pace se faceveno un bicchiere.
Da ‘na radio lontana se sentiva ‘na canzone
e noi regazzini giocavamo ar musichiere.
Era er tempo che ce volevamo crede
E davamo retta a chi, pe’ piacce pe’ minchione,
j’abbastava giuracce ch’era in bonafede,
e che l’aveveno detto pur' in televisione,
a casa der padrone, che je l’aveva fatta vede,
Iersera, quann’era ito a pagaje la piggione.
Quanno ch’abbitavamo all’Arberone,
l’estate, pe' pià er fresco de la sera,
se metteva 'na sedia sott' ar portone
e le donne chiacchiraveno co’  la portiera,

mentre lommini staveno a sede sur barcone 
e in santa pace se beveveno un bicchiere.
Da ‘na radio lontana se sentiva ‘na canzone
e noi regazzini giocavamo ar musichiere.

Era .... er tempo che ce volevamo crede
E credevamo pure a chi, pe’ piacce pe’ minchione,
j’abbastava giuracce ch’era in bonafede,

perché l’aveveno detto jersera ‘n televisione,

a casa der padrone, che je l’aveva fatta vede,
quanno ch’era annato a pagaje la piggione.

22 Ott. 2015

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Bastian contrario 














Nun ce provà a dìmme bastian contrario
E nun te crede ch’apro bocca e je do fiato,
quanno dico pane ar pane, vor dì che c’ho penzato
e pe’ capìmme nun ce serve er vocabbolario.

Er fatto è che, si dico come me piacerebbe er monno,
A chi pe’ l’ambizzione s'è vennuto la coscenza
nun m’abbasteno parole, raggione o abbipazienza
pe’ faje capì che un quadrato nun diventa tonno.

Nun sparto gnente co’ chi vince senza vergogna
e co’ chi stupra la “giustizzia” co’ la morale ottusa
de chi riggira, rubba, giura e campa de menzogna.

Si je ‘nzegneno che i sordi vargheno più de n’essere umano
Come je spiego, a’n fijo, ch’un principio conta più de la scarogna …..

e che nun vinci,  si passi su la dignità de ‘n cristiano.

2 ott. 2015


"Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All'umanità che ne scaturisce. A costruire un'identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità vi siano intaccati.
A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell'apparire, deve diventare.   A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde.
È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco."

(Pier Paolo Pasolini)


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 Le rogne   





Evviva li compagni scerti pe’ raddrizzà le rogne     
Che c’avemo a Parigi, a Roma e pure a Atene,
pe’ riscrivece le leggi come mejo je conviene
e pe’ facce vede da che parte se sorte da le fogne.


Evviva la faccia de chi ha vinto e de chi s’è messo a sede
Cor penziero, le parole e la puzza sotto ar naso
che po’ avecce solo chi, in quer posto nun ce sta pe’ caso,
uno ch'è abbituato a "di' de sì" pure quanno nun ce crede.

Evviva la faccia de chi predica er cambiamento,
de chi rottama,  de chi smucìna ner minestrone
e de chi si lo chiami "compagno" je pìa er coccolone.

Evviva chi ce spiega che mo' c'è l’emergenza der momento
e che ce toccherà passà n’antra vorta da quela stessa porta
Perché so finiti li tempi che la strada ce pareva corta.


21 set. 2015

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  Nun c’è tempo

Si c’è na cosa che nun me ce avvezzo
È che nun basteno sòrdi, si na cosa nun c’ha prezzo.
Ché sordi e brillocchi ar mercato der tempo
So’ come na candela quanno riluce un lampo.

Er tempo che ce tocca è come un sòrdo,
che è bono solo si uno se mette d'accordo
e riesce a nun sprecallo si lo spenne.

E' un sordo che nun se mette via e che nun renne,
è un sòrdo che se conzuma un tanto ar giorno
e nun se pò sapé, si abbasta pure p'er ritorno.

Ogni momento perzo, se l'è fregato er tempo,
e la saccoccia te resta vota senza scampo.
E si sei stato un zignore o un disgraziato
lo vedemo dopo, quanno te finisce er fiato.



6  Giu. 2015





Penziero debole





Ha’ voja a dìje che cor penziero nun s’aronza

Quanno inzisteno e nun vonno capillo …

manco si je spacchi in due er cervello,

ce pòi mette dentro un po’ d’abbipazienza.



A sta gente, già dar tempo de la scola

Je piaceva dà raggione a chi comanna

E piaveno pure per culo, si facevi na domanna

e si nun credevi, ar sor maestro, su la parola.



Nun serve mica er penziero pe’ incantà la folla

Abbasta cojonalla co' la  storiella bella

che cor padrone c'hai la mejo pappatoria.



Cor penziero, invece, te ce strazzi e campi senza gloria,

armeno fino ar giorno che, ner nome de l’ideale,

Te conformi all’armi e ar campo de chi te vòle male.






27   Mag. 2015

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Foco amico







Io nun ce l’ho cor sistema o cor margoverno,

chè chi comanna, si po’, te mette un corno.

succede  sempre, da quanno monno è monno,

 

che un quadrato te lo fanno vede tonno.

Però si vedi che pe' riuscì a  governacce

te vònno  riempì la capoccia de frescacce,

 

e inzisteno a chiamà “democrazia” le riforme

che voteno quanno che la gente dorme ...

nun ce vò (mica) ‘na cima pe’ capì che sta razzaccia

è degna fija de quella che penzava  alla saccoccia.

 

e si mo' un bombarolo se mette a parlà de pace,

bisogna sentillo bbene quello che dice,

specie quanno spiega che er foco amico è n'abbajo, 

e che nun vale, si n'omo l'ammazzeno  pe' sbajo.


7 Mag. 2015



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La Bandiera     
        


Si uno è onorevole e nun po’ annà in galera

C’avrà pure la libbertà de cambia bandiera.

E pure si cambia più idee che mutanne

Nun è questo l'imbrojo che a me m’offenne.




Io me ce rosico er fegato e me ce c’addanno

Co’ chi nun sente la puzza de 'sto malanno.

Co’ chi dorme, co’ chi sta zitto e poi ubbidisce.


Co’ chi nun vede che sto fiore ce s’appassisce.


Io ce l’ho co’ me, che inzisto a parlà ar vento,

che vedo le crepe ar muro e me lamento,

ma nun me movo e aspetto ch'er tetto crolla.



Come si na tegola a me nun me cascasse su la tracolla.

Ce l’ho co’ me, ‘gni vorta che nun vado in piazza

pe' nun sporcamme  quanno schizza la guazza.




29Mag. 2015


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Lo sturbo naturale










Co'  l’urtimo goccetto rimasto ner bicchiere

discorevo co' mi moje, l’artra sera,

che, si vale tanto poco la vita su sta tera,

se potessimo scanzà quarche malumore.

 

Abbasterebbe campà solo er tempo che ce vole,

e poi daje un tajo, prima de finì all’ospedale.

Così, tanto pe’ dì,  je dico du parole:

 

 Si ‘n giorno me dovessi vive come a un veggetale,

Attaccato a ‘na machina e a ‘n’ampolla  

- Si me voj bene - stracca li fili e svota la bottija,

perché, si ho da morì, ha da esse’ 'na cosa naturale.”

 

Mi moje me guarda con amore e smorza er televisore,

poi me leva pici e  telefonino - sta gran boja -


ma è quanno tocca er vino,  che me pija no sturbo ar core!




3 Apr. 2015

https://www.facebook.com/notes/bosque-primario/lo-sturbo-naturale/664756610296224
Grazie a Vittorio che mi ha dato lo spunto.


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L'assassini




Ce toccherà ammazzalli a tutti
A quell’assassini maledetti
Che ce fanno vede a la televisione
Come se taja la capoccia a le perzone

Come pija foco ‘n cristiano senza torto
E come se sgozza un bebuino ner deserto.
Se mischieno co' quelli che pregheno a tutte l'ore
Ma  raggioneno cor cortello, e nun c'hanno core.

E pure si questi le mani zozze ce le sbatteno in faccia,
e  nun se vesteno in ghingheri e piattini,
loro, a ammazzà la gente, nun ce manneno i paìni.

Nun fanno la manfrina come je piace a certa merdaccia
che prima traffica e annisconne infamie e misfatti.
E poi ruzzica pure, si la gente nun se vò conformà ai fatti.



20 feb. 2015



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Le Favolette







Me piaceva tanto sentì le favolette, da regazzino,

quelle de streghe, de fate e de principi gajardi,

quelle che finiveno  sempre a tarallucci e vino

senza  dicce mai che ‘nvece vinceveno i buciardi.



Certo che alle favole nun je se deve crede,

Però io me ce sò ‘mparato a vive ‘n bonafede,

a fidamme de’ parole e de’ perzone

E a penzà che un “buciardo”, è peggio den cafone.



Mo’ però è de moda st’abbitudine  merdosa

De pija na parola pe’ faje dì  n’antra cosa,

in modo da mischià l'ipocrisia co' la verità.

è pe' corpa de' sto branco de farzi e de fetenti,
che nun vònno facce vive "felici e contenti”
che nun se capisce più,da che parte sta la realtà.





20 gennaio 2015




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 L'educazzione





Nonna c’aveva un canestrello cor pizzo ricamato,
pieno de roba vecchia, ché buttalla via era un peccato,
così ‘gni vorta che me perdevo un bottoncino,
nonna  mia annav'a smucinava in quer cestino.

E pure mi padre, inzieme a  dadi, chiodi e viti,
giù in cantina, c'aveva, un ber paiolo,
zeppi de legnetti, spaghi e ferri aruzziniti.
ndo stava sempre na cosa ch’annava a faciolo!

A me, me sa ch’è tutta corpa de st’educazzione
si nun me piace chi nun rispetta le cose e le perzone,
e si nun credo a le parole de quarche zozzo gargamella,

che j'attizzeno più i sòrdi de na perzona bella.
E si  nun attacheno le bucie de sti  vijacchi,
... sarà perché  la decenza nun ce l’hanno manco sott’i tacchi.


3 Gen. 2015





Ispirata al racconto  “Me caí del mundo y no sé por dónde se entra.

di Eduardo Galeano

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  Lo sbajo

 







Io nun strillavo co quelli der sessant'otto,
pure si nun ero più tanto pischello.
Ma nun era pe' paura de quarche cazzotto,
era che nun c'arivavo ancora cor cervello.

Io nun ce stavo e nun lo sò si è vero
er sogno, l'anzia, Valle Giulia, l'ideale,
i penzieri, i fiori e li colori. Io  nun c'ero.....

Ma pure si nun c'ero, nun me piace sta morale
de chi "quer sogno", je piace chiamallo "sbajo"
e dietro a no sbajo ce vò nisconne l'imbrojo
pe magnà e rubbà  mejo e co' soddisfazzione.


Nun c’è tempo pe'parlà de princìpi e de raggione,
senza sordi e co’n governo messo a pecoroni,
nun ce sarà gloria pe' nisuno, si se stamo sempre boni.


 6 Nov. 2014
https://www.facebook.com/notes/bosque-primario/lo-sbajo/603094716462414

 

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Razza de Ladri 

 



Nun me piace giudicà la gente pe’ la razza,
ma basta guardà da che parte gira er monno,
pe’ sentì che tira n’arietta da levatte  er sonno.

E’ pe’ la rabbia de nun sapé dàje la guazza
a chi ce rubba li sordi e se li magna,
e poi, c'arimbambisce co' la solita lagna

che c'arifileno, sti fiji de cotante madri,
bone pe' a mette ar monno 'na “razza de ladri”,
fanatica e canaja che 'ndo ariva riesce a fa danni,
mette zizzania, e se scrive le leggi co’ l’inganni.

E nun je sta manco bene sentì  che “si rubbeno è illegale”,    
come si 'gnuno, ar posto suo, farebbe uguale.   
A daje retta pare na razza che parla in modo accorto:
dimo le stesse parole, ma io c’ho raggione e loro torto.

   

24 Ott. 2014

Er Piedone


  Ma guarda tante vorte

  








Ma te guarda tante vorte

quanto po’ esse curiosa a sorte,

si pe’ presunzione uno ha da campà rintanato



dentr’a'ngoletto angusto der creato,

ndove nun c'ariva manco la puzza de la gente,

e  nun pò vede che, da la vita, nun j'è rimasto ‘gnente.



E pure quanno incrocia l’amico più fidato,

nun lo riconosce, pe' quanto è disgraziato.

E manco un furmine che schiara a giorno

Po’ faje sbarluccicà  er tesoro che c'ha intorno.



Solo quanno, pure a lui, je tocca a scenne lo scalino,

s’accorge d’avé inseguito  la luce de’n cerino

e pure si se credeva ch'era na stella,

vedeva solo quello ch'arischiara na fiammella.

11 Ott. 2014





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                  PASQUINO 
"Povero mutilato dar Destino
come te sei ridotto!"
Diceva un Cane che passava sotto
ar torso de Pasquino
"Te n'hanno date de sassate in faccia!
Hai perso l'occhi, er naso...E che te resta?
un avanzo de testa
su un corpo senza gambe e senza braccia!
Nun te se vede che la bocca sola
con una smorfia quasi strafottente...."
Pasquino borbottò: "Segno evidente
che nun ha detto l'urtima parola"    -  
( Trilussa)

Pasquino è il torso di una figura maschile del primo secolo, tanto rovinato che è impossibile stabilire se si tratti di un gladiatore, di un eroe o di una divinità greca. 
Si sa che nel 1501 questa statua fu collocata sull’angolo di quello che oggi è Palazzo Braschi, dietro piazza Navona, dopo che fu ritrovata in una bottega di barbiere o forse in un’osteria di un certo Pasquino. Ma Pasquino forse fu anche uno di quei poeti-anonimi che tra i primi scrissero del malcontento del popolo e degli abusi dei politici, in forma satirica su cartelli che, per secoli, di notte venivano lasciati ai piedi della statua da autori rimasti sconosciuti e impuniti. Tanta fu l’importanza di quegli scritti che, non solo a Roma, si cominciò a chiamare "pasquinate" tutte le burle e gli scritti più sagaci. L'irriverenza di queste pasquinate portò i papi ad odiare questa statua, tanto che Adriano IV, all'inizio del 1500, diede ordine di buttarla nel Tevere ma, grazie a Dio, la sua improvvisa morte permise a Pasquino di continuare a parlare saldamente fermo sul suo piedistallo, tanto che sulla tomba del Papa, appena morto si lesse: "Papa Adriano è chiuso qui, fu un tristo: con tutti ebbe a che far, fuorché con Cristo”


Un penziero imporverato



















Quanno che te pia la malinconia der passato
e te senti dentro un parpito de vita vera,
ce dev’esse na rotella che nun gira a maniera
si er core perde corpi e te manca er fiato.

Si te pare de rivive er zentimento,
e l’alito de chi t’ha fatto piagne e ride,
e senti er brivido dei tempi de le sfide ...
è  l’anima tua, che gajarda viaggia cor vento.

Nun lo lassa scappà e godetelo st’incanto,
ch' é la voce de ’n penziero imporverato,
e te dice si la vita tua, t'ha dato poco o tanto.

E 'n penziero che te fa sentì beato,
e nun ce so' sòrdi, soprusi o disincanto
che te leveno da bocca er gusto der racconto.

20 agosto 2014

La vera ricchezza è quella che portiamo dentro di noi, è la consapevolezza di aver agito bene o male, di aver preso dalla vita quella piccola parte di felicità che ci spettava ed il piacere di poter ricordare.
A volte siamo troppo presi dalle piccolezze della vita quotidiana, dalla fretta di essere sempre al passo con il tempo che corre, e non ci concediamo il dolce piacere di chiuderci in noi stessi e perderci in un momento di felicità, forse malinconica, di un passato che è l'unico bene inalienabile che ci appartiene. 


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La Voce de la Paura 










Me stai a chiede, a me, si c' ho paura?  
Mo… t’o dico chiaro, chiaro e nun m'o chiede più,
si  l’hai letto sur giornale e si lo dice la tivù,
nun è detto che nun sia ‘na gran cojonatura!
C’ho paura,  si ! ….. quanno nun me basta la voce.
Quanno nun è quello che vedo che me confonne,
ma le bucie e l’inganni de chi me l’annisconne.

E si na donna piagne pe’ un fijo messo in croce,
nun guardo si porta er velo o si legge er corano,
ma c’ho paura d'esse io, uno de quer “genere-umano”.

Si,  c’ho paura. Quanno chi comanna parla de morale
Quanno se vende  la dignità e se copreno li strilli.
Quanno stuprà er monno e fregà l’omini è normale.
E quanno, dopo, senza pudore, dormimo tranquilli.


24 sett. 2014

Foto :  ..... dubbi e impotenza di chi vive una vita come e se glielo permettono ....
per gentile concessione dell'autore F. Cesari, tratta dal sito  http://www.inghisto.com/





 

 

Er Coraggio de pretenne 

 

Me piacerebbe si, spiegatte che è er coraggio.      

Ma  pe riccontallo a modo e senza sbrodolamme,  
dovrebbe avello bazzicato mejo sto bailamme
e invece, a me, nun m’è toccato er privileggio.

Ma pure si er coraggio è dote naturale,
nun basta fa vede quanto  sei potente
e che nun c’hai paura manco si piove sale.
Er coraggio, da solo, nun serve a ‘gnente.

Esse omo de coraggio vor dìre avecce fede,
ma avecce pure forza pe’ nun dovecce crede
e d'esse boni a nun core appresso a la corente.


Er coraggio vero nun è quello der prode,
ma quello de chi nun è servo de niuno e de ‘gnente,
e che pretenne d'avé capìto. Prima de crede.

14 luglio 2014

  

Nun serve a gnente

 



«Ma nun lo sai che co’ sta globbalizzazione
nun c’ha più senzo insiste cor dialetto?
Si te voi fa capì e avecce na funzione,
pe parlà tocca che te metti er doppiopetto!»

Rime e verzi nun so robba che consola
a chi tiene in mano na penna senza raggione
e che, si sa legge e scrive, è già grasso che cola.

Pe’ quant’è vero che chi c’ha sordi dispone
e che le penne se compreno all’ingrosso,
a me me basta la soddisfazzione
de scrive quello che penzo, come posso.

E’ che … si nun voi pènne dar carro der padrone,
l
a lingua ha da esse bella chiara, sverta e tajente.
Sinno, quello che scrivi, nun serve a  gnente.


22 maggio 2014  

In quello che era il cortile di palazzo nuovo, sotto ai musei capitolini, giace una lunga figura tozza di uomo disteso su un fianco, è Marforio, forse è un'allegoria del Tevere o di Nettuno e fu portato qui dal Foro romano alla fine del XVI sec. il nome potrebbe derivare da Marte in Foro o da Mare in Foro per il suo significato allegorico e per il luogo in cui fu ritrovato. Per secoli Marforio e Pasquino lavorarono in coppia e quando uno faceva una domanda, l'altro rispondeva e dialogavano con le loro lingue taglienti.  "È vero che i francesi sono tutti ladri?"   - chiese Marforio durante l'occupazione francese –  “Tutti no,ma Bona Parte” - rispose Pasquino.
                                                                                ********

   Finché c'hai fiato



Cori, fijo, cori, finché  c’hai fiato cori,
e se inciampi e caschi, riarzete e riparti,
e imbriacate de colori,  de sogni  e de l’odori
che devi coje pure si è tempo de sconforti.

Si  poi  trovi chi te dice che la strada è stretta,
e te vo spiegà che n’è n’antra più corta,
dijelo subbito che tu bussi a n’artra  porta.

Dijelo, che a te la fantasia nun te difetta,
e che er profumo der pane e der decoro
te basteno a godette  mejo quell’arietta
che nun se respira, si nun sorti dar coro.

Fajè capì che,  sulla strada tua, nun c’è  vergogna
E si poi vedi che da na parte spunta na fojetta d’alloro,
Vor dì che è er seme tuo quello bono alla bisogna.

15 maggio 2014


"Il momento della gioia che viene dalla coscienza che col nostro atto noi abbiamo di poco o di molto migliorato e accresciuto il mondo intorno a noi, e che questo miglioramento e accrescimento si propagherà e penetrerà tra le forze vitali, tra le aride lotte degli uomini, e vi eserciterà la sua virtù fecondatrice e produrrà le età di splendore che, col mero moto dei fatti bruti, coi guadagni economici e con le vittorie delle armi, non sono mai nate se, altre forze più generose, non intervengano a indirizzare i cuori verso l'alto".

B. Croce - Etica e politica, p. 383





Quelli Diverzi

                                                     
I-dentici
De sta gran voja de parlà de la diversità
C’era bisogno pe' fa sentì diverzi solo quelli
Che  già ce l’hanno chiaro er senso de la  parità.

E si se  credeno che nun semo tutti uguale
È pe’ le bucie de quattro servi miserelli
Che a regge’ er moccolo je viè tanto naturale.

Sti cristianacci che se venneno er cervello
So boni solo a nisconne infamie e inganni
de chi je mette na mancetta ner cappello.
E, vonno spiegàcce, a noi, che è er popolo a fa’ danni?

Ce vònno dì che je rode tanto pe’ l'insofferenti ?
e che c'hanno pena pe' stranieri e ommosessuali ?
Si sti beccamorti, e chi li comanna, ereno normali,
l’aveveno già capito, 'ndo stanno a sede quelli differenti.


 7 maggio 2014

" Credevamo di conoscerci e non ci conoscevamo ed eravamo estranei, uomini di razza diversa. Ora la diversità è venuta fuori" - Così chiude una sua nota, del 6.dic. 1927,  B. Croce, parlando di certi suoi colleghi senatori che alla fedeltà a "certi concetti" avevano preferito "una più comoda sponda".



 

  I Santi-Padri "Santi"

Finarmente è arivato er grande giorno
Che, a due a due, se fanno li Papi “Santi”
Tanto che l’artra notte a SanPietro e tutt’intorno
nun s’è dormito tant’ereno l’inni e li canti.  

Finarmente è arivato er grande giorno
Che la gente s’ariccomanna l’anima a Papi e Santi
Canta, ride,magna e nun se mette scorno …

A potecce crede sarebbe un gran conforto,
A  riccontaje le rogne e aspettà l' assoluzione.
Poi,  restassene in ginocchio, tutto assorto
ner penziero divino a recitasse l’orazione.

Ah, si bastassero le suppliche a sti Santi Papi
Pe rosicaje l’anima a filantropi e satràpi
quelli che l'omo se lo sporpeno vivo, prima ch' è morto.

i-santi-padri-santi - 25 apr. 2014

 

 
  

Bartolomeo Pinelli : Osteria del Gallo in Monti

  Er popolo Sovrano



Propio all'angolo de casa mia,
‘ndove prima c’era n’Osteria,
mo c’è rimasto ‘n portoncino.
Se scenne na scaletta e se pìa er vino.

Mo, quanno c’è gente, te danno er nummeretto,

e nun c’è più tempo pe’ bevese un goccetto.
Bianco  o  rosso ? Bongiorno, Bonasera …
….Lei lo voleva dorce, Signora ? 


Jersera stavo in fila cor boccione in mano,

quanno m’è cascato l’occhio sur titolo der Coriere
e, a mezza voce, leggo ... che un Senatore  …..
Nun l’avessi mai detto, è scoppiato n’uragano.

Sarà la rabbia che  fumava dai pormoni,

sarà la voja de sfogà  tanta frustrazione,
o er modo pe nun perdese ln’occasione,
de strilla i  cori “ Mor’ammazzati a sti ladroni ! ”

E ‘na parola io, e na parola tu,

Tutti sputaveno fiele, co’ la passione
de fa capì a l'artri che, si tu c’hai ragione,
devi sapé, che io … ce n’ho de più.

Ma che ve devo dì: a me, sentì la gente

che s’infervora e che perde er bandolo
pe' spiegà si è mejo er rigo-letto or er delinquente,
me pare come si a parlà è er  "popolo".

E er 'Popolo è sovrano', puro si è fregnone.

Poi appena posso me riempio er boccione,
e quatto quatto m'avvio  ar cancelletto.

Dopo cena girannome ner letto,
sarà stato er mar de panza o la fantasia,
Ma me so ‘nsognato che rigo-letto inzieme cor bucìa,
arzaveno le coppe e se daveno de mano:
“Che sempre viva ‘sto popolo sovrano ”




Scritta durante il breve governo Letta,  nato senza l'appoggio ma con le simpatie di B.

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Er papetto novo

E a voi, ve pare serio aveje dato retta,
quanno veniva a riccontavve la fregnaccia
der bisogno innato de mettece la faccia
pe rottamà li vecchi e senza fasse na marchetta ?

A me, me pare che sete usciti tutti de capoccia,
si nun sentite n’antra vorta er tanfo de la feccia
e continuate a beve sempre da sta funtanella,
che da tant'anni ve fa venì la cacarella.

Ma voi nun zentite puzza de bruciato,
quanno  spareno bucie  'mbellettate cor dialetto?
Nun v’è servita assai l’esperienza der passato,

si  nun sete boni a capillo de prima mano,
che le bucie so sempre farze, pure cor sorisetto,
de uno che, sta vorta, le ricconta in toscano.


Dopo tante vicessitudini quello che si definiva un rottamatore, dopo essere diventato Segretario di un partito politico, ha fatto saltare un  presidente del consiglio non eletto, per sostituirlo lui, che ha le stesse caratteristiche. Peccato che non abbia resistito alla tentazione della poltrona subito. 
Er Papetto Novo pubblicato 14. feb. 2014

 

  L'ova der Nazzareno

 


Ar Segretario de quello che ‘na vorta
era er partito de li Comunisti
j’ha preso er ghiribizzo d’aprì la porta
ar Nano pe’ parlà de sordi e camoristi.

La machina blindata c'ha la scorta,

ma ar Nazzareno, inzieme ai giornalisti,
ce staveno pure tre quattro “Opinionisti”
pe’ sfragneje un par d’ova sulla porta.

“Cribbio – dice er Nano ar Segretario –

Ma non sanno che io son l’unto del Signore ?
Io vengo di persona ….., ma chiuda la porta, per favore”

“E certo che lo sanno – penza l’ usciere –
è che si voi  che te riscriveno  er  breviario,
li stai a pià  per culo - pardon - per il sedere." 


 19 gennaio 2014 alle ore 10.48

https://www.facebook.com/notes/bosque-primario/lova-der-nazzareno/482658278506059


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 La Bella Libertà


L’artro giorno me so preso la bella libertà
de chiede ar Professore de dimme, pe’ favore,
si è giusto sta a sentì quer gran fragore
che ce riempie er cervello de tante farzità.

Er Professore che è n’omo d’esperienza 
Nun ce penza assai e m’arisponne schietto:
“A chi nun vò capìlla, nun c’è scienza 
e nun c’è legge che je fa ‘mparà er rispetto, 


perché a la scola der padrone j’hanno detto
ch'è mejo annà_appresso ar capo che comanna,
che sta a dà retta a quatto piagnoni pisciasotto”.  

E allora nun basta ciancicà che dicheno bucie,
Se deve move er culo, senz'aspettà la manna,
ché un po’ de strizza je le fa passà "certe fantasie"!

  

 


 

 

 la-bella-libertà     25 gen. 2014  

 

 Il 24 e 25 gennaio il Prof. Noam Chomsky, linguista, filosofo, studioso della scienza della comunicazione, logicista e commentatore politico ha tenuto a Roma una Conferenza ed una Lectio Magistralis. 

Ho avuto il piacere di intervistarlo per Znet- Italia. 



   

Cinque Lire de Pescetti


 













Pe’ me de anni, ne so già passati tanti,
da quanno che nun c’ho più fede
né de’ giornalisti né de’ politicanti.
E nun è corpa mia si nun ce posso crede,
 
E' che er core me dice de nun dàje retta,
a chi pe’ nun fa capì quant’è fasullo, stilla forte,
 

e vò nisconne ch’è vòto peggio de na marionetta ….
e me vò convince - a me - che l’idee mie so storte!

Ma me posso mischià co’ sti pori derelitti ?
Co’ pappagalli che metteno in bottega la “Dignità”,
co’ gente che je viè la bava pe' le bucie e l'avidità ?


Manco  cinque lire de pescetti,
je metterebbe in mano a sto porco concistoro,
- e nun è che nun me fido io - è ché so troppi ingordi loro.





"Tié bello, vatte a comprà li pescetti" mi diceva nonna, e mi seguiva con lo sguardo mentre andavo "da solo" a comprare la liquirizia dal vecchietto all'angolo di casa. E a tre anni, io mi sentivo già grande.

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Er Caffé 












Manco mi moje quanno litigamo
Me porta ’n caffè tant’ amaro

Ma che c’hai messo dentro a  ’sta tazzina,
la cicuta!  te possino ammazzatte !

Fammene n’artro e brucelo de meno!
Che già m’hai rovinato la matina.

Prenne er caffè nun serve a tanto,
mica se beve si c’hai sete,
mica te serve a fa passa la fame.

Propio perché nun serve a ‘gnente,
lo devi fare come quanno fai all’amore,
ché si nun lo fai cor zentimento
nun ce trovi l' emozzione
e nun zenti manco tutto er piacere
che nun se po’ inventà,
si nun sei bono a creallo ner momento.

Quanno fai er caffè, sta attenta a l’acqua,
nun deve esse troppa, ma manco troppo poca,
e puro er caffè,  mettece quello giusto,
tanto quanto ce ne vò, e bastà !
Ma che nun sia troppo e che nun strabordi dall’imbuto.

E poi sta attenta a quanno bolle,
nun deve arivà a zobbollire troppo.
Ma nun lo fa venì n’acquetta.
Mettece er cappelletto, così nun schizza,
ma arza er coperchio de la machinetta.

Inzomma, si proprio voi fallo, er caffè,
ariccomannete a chi te pare, ma fallo bono!
Sinnò dimmelo subbito che oggi
se famo un bell’orzetto, ch'arinfresca pure!


16 gen 2012


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  Grazie

Nun è che si te dico “Bongiorno” o “Bonasera”,
me insogno che stai bene. E si te dico “Come stai”
è perché me piace quer muso de cera
che c’hai si nun hai dormito assai !

A me, nun me passa manco per cervello
de sapé si te servisse  ‘na mano,
o si t'abbasterebbe la parola de ‘n fratello
pe’ sortì da quell’ impiccio strano.

Nun c’ho tempo pe’ capì, e nun te guardo ‘n faccia
perché nun c’ho voja de sentì tutti l’affanni
che m’aricconteresti  si te dassi  er via,
allora è mejo  che manco m’arisponni.

Ma si te dico “Grazie” è differente,
si nun è pe’ cortesia, se vede bene. E si vojo
ditte che, lo so che, a te, nun te frega gnente,
allora, te lo dico puro, ma senz’ arzà er cijo.

Ma si te guardo dritto,
e vedo l'occhio sincero, ce vo’ poco pe’ capillo
che l'animo tuo è propio schietto.
E allora "Grazie" m'esce dar core  cor piacere de dillo.

Pubblicata da Bosque Primario il giorno - 29 marzo 2012

 

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Er Gusto de sceje    

J’abbastava mascherasse da padrone,
fa quarche ruggito da leone
e mettese  in testa un gran pitale
pe’ fa crede ch’era un generale.

Tutti l’omini s’accuciaveno all’istante,
i mejo leccaculo diventaveno baroni
e se spartiveno donne, terre e terroni.

A governà era sfizioso e divertente
Potevi scavà buche e costruì montagne,
svotà er mare e mettece sciampagne
scejevi chi menava e chi portava la bandiera.

Ma de sti tempi, a governà c’è più soddisfazione
Vòi mette er gusto de scejese la maniera
pe' fa crede che tu, nun la vòresti pià sta decisione? 


18 agosto 2016


«Un tempo si pensava fosse sufficiente pretendere di dominare la terra e i fiumi, gli oceani e le montagne, e poi le donne, i sottomessi, i sottoposti, i servi, gli operai, gli animali e ogni altra specie vivente, la materia. Oggi il virus del dominio si espande attraverso territori e linguaggi evoluti ed è in grado di produrre inedite subordinazioni...."  (citazione)

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Er Sapore der Tempo  

    



Certo ch’er tempo nun cambia colore,

dopo l’inverno risboccia un fiore,

dopo che piove, se rasserena,

e se cancelleno le scritte su la rena.



Me pareno ‘n ricordo sfocato

l’amori, l’amici e le stagioni

insiem'ar sapore de'n tempo andato

e tutto ‘r gusto beato de l’emozioni.



Er fruttarolo che fischietta

Er fornaro che canta ’n ritornello

Er regazzino che strombazza in bicicletta



A la radio fanno l’indovinello,

poi Luttazzi che mette ‘na canzone,

e du’ vecchi che litigheno sur portone.











19 agosto 2016





Il sole brilla ogni giorno e le stagioni ritornano ogni anno, sempre uguali, insieme ai fiori e ai colori di un mondo che, malgrado tutto, continua nella sua corsa infinita.

E’ il colore della vita, che non si cura delle piccolezze dell'uomo e che scorre lento per la sua strada. Non cambiano i colori ma cambiano, invece, le persone, le generazioni, e ognuno si  porta via  qualcosa che non esiste, qualcosa di impalpabile, ma che trasmette sensazioni, che tramanda  il sapore del tempo.



Il sapore del nostro tempo, anche se un po confuso tra suoni, odori, abitudini e ricordi sbiaditi.

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Er piacere che me piace


Quanto me piace da chiacchierà ...
e pure quando nun c’ho niente da riccontà
Me pia dentro, ‘na specie de bailammme
che parlo, solo pe’r piacere de sentimme.

Nun è che serve a tanto questo sfoggio
ma c’ha er gusto e c’ha er coraggio
de famme crede saggio e accorto
e che, quanno ragiono, nun c’ho mai torto.

Er piacere che me piace pe’ da vero
so’ le parole che correno più der pensiero
È er fatto che quando m’infilo ner discorso

Me pare d’esse’ più mejo de un sapiente
e nun c’è santo e nun c’è verso
de fermamme, pure si nun dico niente.



22 agosto 2016


Mi ricordo di Tina, una cara amica di tanti anni fa, che trovava sempre un argomento nuovo per parlare con chiunque sembrasse appena disponibile ad ascoltarla.  E' una di quelle poche persone che, oltre a dimostrare la sua lucida intelligenza, sa anche riconoscere i propri limiti e quando vedeva, qualcuno degli amici che la guardava con  uno sguardo ammiccante, lei, per prima diceva : Quanto me piace da chiacchierà .... 

E a noi, invece, ci piace anche sentirci parlare.  

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Parole vòte      



Co’ che te l’asciugo ste lacrime all’occhi,
co’ la pezza che te copre er regazzino?
Co’ sti sacchi pieni de stracci vecchi?
Cor vento addiaccio der destino ?


Come te spiego de guardà ar domani
si  pe' me l’amore nun c’ha valore?
Co’ che coraggio te sfioro le mani
Si misuro a peso er prezzo der dolore?

Co’ che faccia te parlo de speranza,
si nun so manco cresce un fiore?

Te parlo de fiducia e de fratellanza
ma le parole so'vòte, de circostanza

e me serveno pe’ fatte vede un core 


che, però,me batte solo ne la panza. 





25 agosto 2016







Amarezza, profonda amarezza, che non deve confondersi con il dolore per la gente che soffre e per chi perde la vita - e l'interesse per la vita - in occasione di eventi naturali tragici e fuori dal controllo degli umani.

Con il terremoto di ieri, sono tornati i soliti inutili presenzialisti.



Amarezza per la grettezza che vediamo ogni volta negli occhi degli sciacalli che, se non possono approfittare dei beni reali della gente che fugge, si fanno belli spendendo - gratis  e a nome del popolo che rappresentano - parole che non appartengono alla loro cultura, parole che contrastano con il loro modo di considerare la vita, di fare affari e di usare il mondo e gli uomini. 


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Vedi e nun vedi


Quando te pare, che nun te pareva,
è come sta su sull’orlo de’n baràtro
e te devi chiede si quarcuno fa teatro
o si te vo’ ‘nfarcì ‘na bona nova.


Er fatto de nun fa vede quello che era

È er giochetto più vecchio de la tera

È come er vestito de la commare,



quello che se mette quand’è festa,

quello che er più bello nun traspare,

ma ch'abbasta pe' fatte girà la testa.



Fa’ a fidasse è un rischio grosso

Ma si nun te fidi, manco arrivi all’osso.

E si fai finta de credece, ma nun ce credi,

vor di' che nun pòi crede … a quello che vedi.





26 agosto 2016

Quelle che una volta ci venivano cantate come le eroiche astuzie del semidio Ulisse che, grazie alla sua fervida fantasia, riusciva a gabbare anche i più forti e feroci nemici, oggi ci sembrano solo banali e scontati stratagemmi, dei trucchetti da circo.  



Quanto fino a pochi decenni fa era esclusivo appannaggio di una intelligentia, ricca e potente he certi comportamenti li riservava solo a piccole, benché influenti, élites, oggi è stato studiato in tutti i suoi particolari e messo a regime, fatto strumento di cultura, ed usato al servizio del sistema politico-finanziario, su tutta la popolazione colta o ignorante che sia.  Meglio se ignorante.

Strumento di una cultura - che si scrive con la “c” minuscola - che si può importare o esportare e comunque facilmente imporre su gente abituata ad essere indottrinata con una quantità incontrollabile di informazioni. Informazioni ripetute, riprese e ribadite dai media e dalle fonti più disparate, informazioni che vengono assorbite e, inconsapevolmente, fatte proprie - democraticamente - dalle maggioranze.
Il sistema funziona bene sia per le informazioni vere che per quelle false, quindi se sorgono dubbi su certe informazioni false, gli stessi dubbi devono sorgere anche per le informazioni vere. 
Quindi : la sola cosa, assolutamente determinante è che l'utente finale dell'informazione abbia sempre qualche dubbio, ma che accetti come incontestabile, come un dogma, l'informazione più pressante, più prepotente, più ricca di mezzi. Tanto ossessiva da dover mettere da parte la razionalità e da evitare di fare o  farsi domande. 


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Un Brutt' Effetto


me, me sa che più tempo passa
e meno c’ho voja de sbroja 'sta matassa
Nun c’ho più pazienza pe' chi se ne frega,
pe’ chi nun me piace, e pe’ chi nun se spiega.

Nun c’ho più pazienza pe’ dà 'resto
a chi je scappa un giudizio o n’opinione,
e nun risponno e do soddisfazzione
a chi ce marcia e vo' fa' r modesto.

Sarà che l’anni fanno un brutt'effetto,
Ma a sentì troppi ticchi e paroloni,
me viè voja de levaje la sete cor preciutto

e pe’ scanzà polemiche e discussioni
me passo er ghiribizzo e me conzolo
a rimannà, dritto ar mittente, ogni citriolo.




30 agosto

Non so se questo sia un effetto legato all'età, ma la pazienza qualche volta mi comincia a mancare, forse perché mi rendo conto che sprecare il tempo non è saggio e perderlo per assecondare chi tenta di trascinarmi in ragionamenti, conversazioni o situazioni che non mi interessano, mi diventa sempre più difficile.  

Così, quando si tenta di coinvolgermi in argomenti che mi sono estranei, lontani - o peggio, che mi infastidiscono - ieri sembravo distratto, oggi invece ostento la mia disapprovazione e mi sottraggo a inutili confronti. In fondo, se la pazienza è poca, bisogna amministrarla con parsimonia, per averne ancora quando qualcuno si merita attenzione e fiducia. 

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Er Coro der Dindarolo



Si l’omo fosse ancora n’animale

er monno girerebbe meno storto

e pjerebbe na strada più imparziale.



Nun è pe’ rinnegà li fasti de la storia

de’n passato che nun sarà mai morto,

ma a me, me piace sognamme n’antra gloria,

quella de un pensiero un po’ allargato,



indove guardà lontano nun è peccato

e indove l’affaretti der pizzacarolo

conteno tanto, quanto er dindarolo.



C’era d’aspettasse che la nobirtà der lavoro

Era 'na fregnaccia, pe mettece d’accordo,

che quarcuno ha da esse' sempre ingordo,

mentre che l’omini nun deveno mai uscì dar coro.






31 agosto 2016





L'uomo non ha mai amato essere uguale agli altri, la sua storia ci insegna che istintivamente tende al dominio, sulle altre specie animali, sui suoi simili e sulla natura. 

Lo vediamo chiaramente oggi che le risorse della natura diventano ogni giorno più scarse e che la storia ci sta consegnando a un periodo di recessione sociale. 

Chissà se si tratta dei normali corsi e ricorsi storici o se, dobbiamo vedere in questo momento, i limiti di un pensiero umano sempre più parcellizzato, specializzato in una sola materia e sempre meno universale.

Un pensiero limitato alla conoscenza approfondita di piccoli rami del sapere che cercano di evolversi, indipendentemente dai danni collaterali che questo tipo di evoluzione potrebbe produrre sulla intera società.

Ma tutto succede inconsciamente, per una giustificata "ignoranza delle altre materie specifiche del sapere", che stanno evolvendosi in parallelo, ma senza coordinamento.

E' una società che funziona, purché tutti rispettino il ruolo che gli compete, dentro o fuori dal coro.


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La Marchetta de la Miseria



Ogni vorta che se move la natura,

pe scaricàcce adosso n’antra  sciagura

Ce pòi mette ‘na mano sur foco

che le carogne, p’arivà, ce metteno poco.



Ma queste so’carogne vive, in carne e ossa

So’ le  carogne che vengheno a vennete la fossa.

So’ le carogne ch’a parole te prometteno er core

e ‘ntanto misurano er  prezzo der dolore.



Come Zuccherbé che, dall’arto de l’Aula Magna

c’ha spiegato er valore vero de la carità,

per cui niente sordi, ma tanta pubblicità.



Er popolo nun capisce e nun disdegna,

li giornali farfujeno de 'n  gruzzoletto,

se  parla de carità,  e nun se vede che fa er dritto.





1 sett. 2016



Dopo il terremoto in Abruzzo, Mark Zuckerberg è venuto in Italia ed ha tenuto una lezione agli studenti della Luiss: «Daremo 500 mila euro alla Croce Rossa per le vittime del terremoto». Così hanno riferito i media. Poi entrando nei dettagli, con gli studenti, ha spiegato che non si tratta di soldi veri, ma di crediti pubblicitari messi a disposizione della Croce Rossa che potranno essere usati per promuovere  raccolte  fondi (che non arriveranno certo non da M. Zuckerberg).



Non sono scandalizzato per comportamenti  commerciali tanto meschini - sono almeno trentanni che li usiamo ovunque disinvoltamente – ma sono rattristato per la miseria del regalo stanziato per questa Marchetta pubblicitaria (Zuckerberg è a capo di un impero che vale 364 mila-milioni di dollari ) e soprattutto per il valore umano che ha voluto insegnare, da una delle più quotate cattedre che stanno formando la nostra classe dirigente di domani.


Nessuna pietà, nessuna tregua, deve fermare la macchina che produce denaro. Gli affari prima delluomo,  le opportunità vanno colte al volo o sarà qualcun altro a raccoglierne i frutti.     

*****  

La Fregnaccia 


Er giorno che sta ministressa
s'inventata su la fertilità,
me pare na campana fessa
che quanno tocca nun sa eccità.

St'invenzione èp 'na fregnaccia
che nun scopre l'acqua calla,
mache vòle sbatte in faccia
'na gran falla, che nun sta a galla.

Si chi nun lavora nun fa un fijo
nun j'abbasta 'no schizzetto
pe' fall'accoppià com'a'n conijo.

Damoje prima du'  sordi e 'n tetto

e un futuro che nun sta a lutto.

Eppoi vedemo si nun je dà giù de brutto!







2 sett. 2016





«Fertility day» è una campagna del ministero della Salute che suona beffarda per quelle donne e uomini che, non essendo indipendenti economicamente, non hanno potuto pianificare la propria vita.


Malgrado gli intenti e le motivazioni dichiarate, sembra che la Ministra viva fuori dal mondo reale e che la costante diminuzione delle nascite sia un problema provocato dalla scarsa conoscenza del proprio corpo e non un effetto dello stato sociale che non prevede la centralità dell'essere umano nel panorama politico ed economico. 



Nel testo c'è un piccolo gioco di parole che cerca di  sdrammatizzare la campagna e, con un sorriso, farla tornare con i piedi per terra. I mondo è pieno di controsensi: ci sono quasi otto miliardi di persone, le adozioni sono sempre difficili, la maternità surrogata, la vendita di ovuli o spermatozoi sempre più facile ecc., ecc. 


***** 

L'Eroe

C’avevo  na giacchetta marone bruciato
Co li bottoncini c’arivaveno fin’ar colletto
Era la moda e, pure si ce stavo sacrificato,
m’ero agghindato da impiegato provetto.

A vent’anni camminavo sur velluto
Cor cor’ e  l’anima dell’eroe che se vanta 
de sapè  perché er futuro nun agguanta.

E me sentivo tanto compiaciuto
de spiegà c’avevo capito er busillo.
E me fidavo che, si er gioco era truccato,

bastava dije che s’era sgamato er cavillo
e er baro doveva rientrà ner seminato.

Semo  corsi appresso a st’abbajio in tanti
e se semo tutti affogati ar mare dei rimpianti.



6 settembre 2016

Questo sonetto voleva essere solo un ritratto del momento in cui si entra nel mondo del lavoro e del piacere di sentirsi importanti e, per la prima volta, protagonisti nel gioco della vita.  Volevo descrivere le prime sensazioni e la voglia di dare il meglio di sé, quando si ha ancora la certezza che buona preparazione, onestà intellettuale e qualche dote personale siano le basi per costruire o per ricostruire un futuro migliore.

L' esperienza e i ricordi del futuro, purtroppo, hanno rovinato la festa.

 ***** 

Er Ritornello

Sotto all’arbero der pesco,               
ce cresceva un rametto de rosmarino
e la brezza friccicosa der mattino
mischiava l’odori, cor  pane fresco.

S’apriveno le persiane der terrazzino
e, co’ la luce, se svejava er regazzino.
De là, er caffè già borbottava cor latte
e da fòri entraveno voci e canzonette.

L’aradio sonava le musiche d’i cantanti,
le signorine ciguettaveno sognanti
e i ragazzetti fischiàveno in bicicletta.

Nell’aria girava ‘na specie de febbretta,
e più annavi, più te s’attaccava quer ritornello,
che te risona ancòra, cor ricordo più bello.

8 Settembre 2016


Forse è un desiderio nascosto di rivivere l'atmosfera di un passato molto personale, forse la voglia di risentire ancora i suoni, le sensazioni e gli odori della gioventù o dell'infanzia, chissà. L'idea iniziale però era tutt'altro.  
Volevo parlare del rapporto tra le persone e la musica che in pochi anni si è completamente stravolto. 
Fino a poco tempo fa la gente cantava, cantava a voce alta e se non aveva una bella voce, fischiettava. La musica serviva a diffondere sensazioni, idee, ritmi e nuovi modi di pensare e di vedere le cose, era contagiosa e si diffondeva rapidamente, come un malattia, per contatto tra la gente.  
Anche oggi la musica svolge lo stesso compito ma con metodi diversi, perché sono cambiate le persone. Oggi chi canta o canticchia ad alta voce viene additato come un "estraneo", come un alienato, e anche fischiettando si rischia qualcosa. I rumori del sottofondo, sono cambiati e, per comodità (?) la musica oggi si ascolta in cuffia, isolati dal resto della gente che, anche se vicina fisicamente, è "estranea" e vive in uno stesso mondo ma visto ed ascoltato da un'altra angolazione.
La musica oggi viene assunta non come un mezzo per avvicinare le persone e le idee, ma come un sistema per emarginarsi ed per allontanarsi dai problemi propri e degli altri. 
Poi ci sono i concerti, per fortuna, e qui la musica non è cambiata.


*****  

La Coppa de Sciampagne


Ch’er cielo ce l’accresca

St’acqua ghiaccia e bella,

che score giù da la cannella,  

che spècchia, traspare e rinfresca.



Ch’offende, violenta e dà pace,
che score lenta ner ruscello

E che ce schiara er cervello.



A vede st’acque fresche e cristalline,
ce se scorda de la sete e ce s’avvezza
A ‘n piacere che nun s’apprezza,
all'abbitudine de la routine. 

Ma  er core se commove e piagne
solo quanno se ricorda le bollicine


de 'na bella coppa de sciampagne.



9 settembre 2016



Ho incontrato per caso un compagno di scuola che non vedevo dai tempi del liceo. All'inizio non sapevamo da dove cominciare e poi abbiamo cominciato a raccontarci. Lui mi ha raccontato che tutto va bene e, svogliatamente, ha accennato al lavoro che diventa sempre più insopportabile, alla moglie e ai figli, poi ci siamo persi nei ricordi delle nostre belle serate e, improvvisamente gli si sono illuminati gli occhi: "Te la ricordi Marilena ? quando ci vedevamo il sabato pomeriggio e uscivamo tutti insieme?    Ma si, era quando andavamo al ginnasio ....  l'ho rivista. E' sempre uguale ....".


 *****   

La Portrona


Da ‘na parte c’è l’ armata de chi vince

ch’avanza e che convince co’ le ciance

ch’er dubbio nun è 'na bona compagnia

e che, nun sartà sur carro, è ‘na vera villania.



A piedi ce resta solo chi nun s’attacca,

chi se picca, chi je rode e chi nun becca.

So’ quelli debboli, fraggili  e pieni de pretese,

e facile che nun ariveno manc’a fine mese.



Chi nun monta, si nun se vò sentì uguale,

Vor dì ch’è diverso e che nun è normale.

Vor dì che serveno le brije e le ganasce,



pe faje riconosce, chi comanna e chi ubbidisce.

Pe’ faje vede, chi è che sta commodo in portrona

e chi è, che nun capisce, com’è che se raggiona.







15 sett, 2016



Si sa che chi, per qualche motivo, non sta sul carro può disturbare il  "conduttore" ed il buon funzionamento del sistema che è stato scelto o che si è imposto. Quindi chi è, pensa o dice di pensare come il "conduttore" 
è funzionale al sistema ed visto come "essere sano" e “normale”, mentre chi pensa o agisce in modo differente è visto come una minaccia, come  un "disturbatore". 
Chi stabilisce cosa è normale e cosa non lo è sono le regole e le leggi emanate dallo stato, gli usi correnti e l’opinione pubblica che si forma e si evolve in base alla rappresentazione della realtà che raccontano i media. Cosicché il mondo si trova diviso tra i “vincitori” che si adattano e che possono sedere comodamente in poltrona e gli “altri”, tutti quelli che sono classificati come diversi e che non dovrebbero aver voce. O meglio loro parlano e gridano ma nessuno li ascolta perché non dispongono della stessa forza, della stessa eco e degli stessi strumenti mediatici di chi sta dalla parte del vincitori, di quelli che si nascondono dietro una "maggioranza", una normalità, una ostentata sicurezza e determinazione. 
Diversi non sono solo i portatori di handicap fisici e mentali, ma anche chi non ha il coraggio di dichiarare le proprie fragilità, i propri dubbi, chi non ha voglia di marciare nelle fila dell’armata vincente, perché non è d'accordo sulla strada intrapresa.  “Essere diversi”  significa essere considerati estranei, quasi dei nemici e non la voce di una coscienza sociale che deve restare nascosta. 

*****   

La Mezz'Ora   

Se vede che ner corso e ner ricorso
de la storia, quarche cosa me sarò perso,
si me credevo che cor progresso,
se faticava de meno, pe’ fa’ lo stesso.

Se vede che c’avevo troppa fantasia,
si me penzavo che quanno ’n robotte lavora
l'Omo riesce a dormì n’antra mezz’ora.
E  ‘nvece no, pare che dico n’eresia.

Sta storia der lavoro che nun se trova
perché un robotte lavora ma nun se magna,
a penzacce bene, è n’antra prova

che co’ li sordi se fotte e se sparagna
e che, si se campa, se magna o se more
je frega solo, a chi nun je regge er core.

28 set. 2016

Ci deve essere qualcosa che non ha funzionato bene, se nell'ultimo secolo l'Uomo ha stravolto tutti i rapporti con la Natura e se la conquista del denaro e del potere è diventato l'unico metro con cui misurare il valore di una persona. Per millenni si è creduto che quando sarebbe stato possibile sostituire il lavoro dell'uomo con quello di una macchina, finalmente si sarebbe potuto entrare in un mondo più libero, si sarebbe potuto vivere godendosi la vita e le bellezze della natura, lavorando quel tanto che basta per sentire che vale la pena vivere e che ognuno ha il dovere di contribuire al mantenimento della propria società e della cultura. 
Quando invece questo sogno ha appena cominciato ad avverarsi, l'avidità e la stupidità hanno preso il sopravvento su una specie umana che appare stordita, incapace di raccogliere i frutti seminati in millenni di evoluzione del pensiero e sottomessa da poche, rigide norme che si ergono come "tabù" a difesa di un Dio non divino, che nessuno può osar contraddire. E' una nuova economia che ha cambiato strada, dimentica di essere stata creata dall'uomo per poter vivere un oggi migliore di ieri e un domani migliore di oggi.


 *****


L'osso der Collo



Quanta gente, co’ li sordi’n saccoccia,
è abbituata a spenne e a spanne,
e quanno che va fòri de capoccia,
se pò comprà compari e condanne.

Si poi, uno s’offende e parla de corruzione
quell'antro lo cojona, co‘ tanta soddisfazione.
Dai tempi der sorco e de Romoletto,
reggìmi e diritto vanno sempre a braccetto.

Mo', nun famo che cascamo giù dar pero,
si se fa vede, chi comanda pe’ da vero.
Er fatto è n’antro e assai più strafottente:

Na’ vorta, uno che voleva fa' er prepotente
doveva rischià de rimettece l'osso der collo.
Mo’ si se sa legge er codice, ce mette' r bollo.


3 ott. 2016 

I tempi cambiano e il malcostume resta. Come sempre c'è una casta che comanda e poi ... il popolino. Ma in democrazia le antiche, solite abitudini sembrano stridere un poco con certe strane idee che ci si era messi in testa durante il secolo scorso. 
C'è un fatto nuovo però, oggi non sono più solo i "nobili" a pretendere l'impunità, ma ci sono anche i piccoli delinquenti - quelli che deferentemente qualcuno chiamava "furbetti" - che si sono arricchiti troppo facilmente e che credono che tutto abbia un prezzo e che basti negoziarlo. 
Ne sono tanto convinti che in genere - loro - non pagano mai per i reati che compiono né contro il demanio, né contro la dignità degli uomini, né contro il futuro del pianeta.





*****


Fine Estate



Ocra e morbido er chiarore
che riluce e che s’ oscura
è  ‘na pennellata de colore,
che schizza e sfuma la natura.

Come quanno n’ombra distratta,
se nisconne dietr’a ‘n fiocco
e risbuca da ‘na nuvola d’ovatta.
Ar sole, poi, j’abbasta ‘n tocco,

‘no sprazzo, un barlume
Pe’ nfilasse  de traverso
Tra le gocce de le brume

E‘ n baleno, che viè da l’universo
e scenne giù, pe’ n’arco colorato,
pe’ ricordacce la pace ner creato.   


14 ott. 2014

Improvvisamente una sera di fine estate il cielo si è riempito di nuvole basse, piene d'acqua ma piene anche di sabbia del deserto. Nuvole quasi rosse, capaci di filtrare una luce che andava perdendo chiarore, ma ancora vigorosa che faceva capolino in un'atmosfera ormai inquietante, come in attesa di un evento inevitabile, poi lontano da uno squarcio azzurro si è formato un arcobaleno e ci siamo subito riconciliati con quell'aria, con quell'atmosfera, che era diventata troppo pesante.


 ****    

Terremoto     

                                                  

Stammatina c’ha mollato n’antra botta     
e si nun è sartato er turno, era n’avviso.
Nun zo si la minestra nun era ancora cotta
o si c’avevamo quarche santo in paradiso.

Però si la terra se sprofonna su ‘n montagna
nun vor di’ che chi sta sotto nun se bagna
E si ce pare che nun semo ancora pronti

sarà mejo tirà la riga e fa du’ conti,
tanto pe’ capi’ si la terra se rigira e se sistema,
o si è pe’ le troppe pompe che ce trema.

Si er teremoto è un gastigo de la natura
vorrà facce sapé chi è che fa l’andatura,
che l’omo, su sta terra, è de passaggio 
e che quanno fa troppi buffi, nun è saggio.


30 ott. 2016



E' la terza volta in poco più di due mesi che a Roma, distrattamente, sentiamo delle scosse di terremoto che tuttii commentiamo con tanta partecipazione e poca attenzione. Paura, tanta per pochi secondi, poi visto che non ci sono danni seri, tutto diventa un gossip da bar. Qualche telefonata e si cambia argomento.

In effetti la partecipazione - per chi non è direttamente coinvolto in questa tragedia umana - si limita a qualche piccolo obolo versato su efficientissimi conti correnti, subito pronti a raccogliere fondi per liberare le coscienze e far sentire tutti come la parte buona della società.

Emergenza è una parola per tutte le stagioni, serve per esprimere solidarietà, a far sentire uniti e, spesso, a evitare di pensare e di chiedersi qualche perché.

Per esempio a pensare alle conseguenze della violenza predatoria che l'Uomo esercita, esageratamente, sulla natura, da poco più di mezzo secolo e che sta alterando i cicli biologi, sta cancellando specie viventi, sta cambiando il clima del pianeta e sta consumando molto più di quanto il pianeta stesso possa rigenerare. 

Insomma il fatto di vivere al di sopra delle proprie possibilità, non è saggio, figuriamoci poi il voler giustificare i gas che creano o distruggono le perturbazioni o - peggio ancora - il fenomeno del fracking nel sottosuolo terrestre e marino.Chissà se i terremoti sono un castigo divino o se l'uomo ci ha già messo il dito. 

Er Cavallo de Caligola




Si uno se guarda intorno 
nun ce po’ crede e nun je pare vero
che st’abbitudine der magnà torno-torno
se sta a rosicà pure a l’impero.

Sarà er ciclo de la storia
Che gira, gira  e se ripete
O sarà che l’Omo se dà quel’aria 
che pare che parla com’a’n prete.

E si la gente, dopo tante fregnacce,
nun je dà più retta e lo svaffancula,
mica capisce che je tocc’a stacce,

No! … inziste a fa’ com’a Caligùla
che co' tutto ch'era un grand’ imperatore,
ce metteva 'r cavallo suo a fa'r senatore!


16 nov. 2016

C'è un fatto strano che si sta verificando nel mondo della politica (quella scritta con la "p" minuscola, quella dei piccoli uomini) ... in America - dove è stato appena eletto presidente un miliardario che ha sempre visto la politica come un taxi -  come in Italia o in Francia, ma anche altrove. I partiti al governo sono guidati da omuncoli senza autorevolezza, senza ideali, a volte con un pizzico di dialettica e arroganza - che il popolo scambia per carisma. Sono "Omini" capaci di obbedire a ordini consigliati da affascinanti e facoltosissimi faccendieri che prospettano loro idee di grandezza, ma che nascondono solo interessi di bottega e indifferenza per tutto ciò che ostacola i propri "affari".
Quando il popolo istericamente reagisce spesso sceglie di votare per rabbia e vota per quello che trova, cioè "per chi dice di essere l'opposto" a chi la politica l'ha confusa con il clientelismo e la corruzione.
Questo è un fatto che deve essere valutato.Punto. 
E' preoccupante solo il fatto che in politica, oggi come sempre, chi perde le elezioni non si senta responsabile dei propri errori e che insista a non volersi sporcar le mani, come fa tutti i giorni quella gente che ormai è tanto lontana. 

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Fine della prima parte

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